La vita di Adele
Il film diretto dal regista tunisino Abdellatif Kechichesi si è aggiudicato la Palma d'oro al Festival di Cannes 2013.
Passeggiando da sola per la strada Adele viene all’improvviso rapita dall’insolita luminosità di un colore: è l’azzurro dei capelli di Emma, una ragazza che ancora non conosce, ma della quale si innamorerà. I loro sguardi si incrociano per un lungo istante e poi ognuna procede per la propria direzione. Quando si incontreranno per la seconda volta sarà in un locale gay: Adele, che frequenta l’ultimo anno del liceo, è affascinata ma timida, Emma, più grande di lei, studentessa di Belle Arti, sicura di sé e curiosa. Quello che le unirà sarà un sentimento travolgente, totalizzante, soprattutto per la giovane Adele che esplorerà un aspetto della propria sessualità fino a quel momento sconosciuto.
Tratto dalla graphic novel Il blu è un colore caldo di Julie Maroh, l’ultimo film di Abdellatif Kechiche – Palma d’Oro a Cannes 2013 – racconta una relazione amorosa densa di passione ma anche una storia di formazione, divisa in due capitoli (come recita il sottotitolo): l’adolescenza di Adele (la scuola, il confronto a tratti difficile con i compagni, la scoperta dell’eros) e poi la maturità (il suo lavoro di maestra e la convivenza con Emma che intanto inizia ad affermarsi come pittrice).
Primi piani insistiti, assidui, e una macchina da presa che esplora ogni dettaglio e scava ruvidamente in una realtà in fieri, mai immobile, sono dal punto di vista formale le peculiarità di questo film vivido e intenso in cui molto è affidato all’espressività e alla fisicità delle giovani, eccellenti protagoniste Léa Seydoux e Adèle Exarchopoulos. Allo sguardo d’insieme vengono preferiti i particolari, alla narrazione strutturata manciate di attimi e impressioni strappati alla quotidianità di Adele ed Emma, fatta di discorsi sull’arte e la filosofia, di feste e cene in famiglia, ma anche e soprattutto di amore. Numerosi sono infatti i passaggi che descrivono l’aspetto specificamente erotico della loro relazione, rappresentato in maniera molto esplicita e tuttavia mai forzata, con uno sguardo volto a rivelare la bellezza e l’armonia sprigionata dai corpi, a liberare l’eleganza delle immagini senza però renderle mai artificiose o innaturali.
Neppure l’analisi del contesto in cui le protagoniste si muovono passa in secondo piano, poiché diventa spunto per un discorso dai risvolti anche sociologici, sia rispetto alle differenze tra le famiglie di provenienza di Emma e Adele sia riguardo all’impossibilità di vivere sempre apertamente un amore omosessuale. Efficace e precisa è poi la descrizione delle dinamiche sottili e complesse che regolano questo rapporto: l’entusiasmo e la generosità, le aspettative deluse e la noia, il rancore e il perdono, tutto viene sintetizzato e rivelato da piccoli ed emblematici dettagli, mentre l’attenzione del regista è catturata costantemente dalla potenza eloquente ora di un gesto, ora di un sguardo, ora dell’espressione di un volto.
La dimensione temporale a tratti quasi si annulla in questa assidua ricerca di carpire l’attimo, la macchina da presa sembra cullarsi in un eterno qui e ora, che coincide visivamente con la predilezione per immagini frammentarie perché estremamente “ravvicinate”. E tuttavia questo mosaico di impressioni fugaci ha la coerenza e la potenza di un grande affresco, perché non si limita a catturare la bellezza labile e transitoria dell’innamoramento ma approfondisce e racconta, insieme alla crescita e alla maturazione interiore di Adele, l’accettazione – dolorosa e sofferta – da parte di lei della possibilità della fine, del dissolversi ineluttabile dei sentimenti.
Unica, perdonabile pecca di un’opera solida, fresca e vigorosa è la lunga durata (circa tre ore) che appesantisce parzialmente il film, per il resto equilibrato e avvincente sotto ogni aspetto.
Trama
Adele è un’adolescente che frequenta l’ultimo anno di liceo quando incontra per caso Emma, una studentessa di Belle Arti. Con lei inizia un percorso lungo e intenso, che la porterà anzitutto a scoprire la propria sessualità ma anche, in senso più ampio, a crescere e realizzarsi come donna.
di Arianna Pagliara