Il mestiere di vivere

La recensione di Il mestiere di vivere, di Giovanna Gagliardo, a cura di Ignazio Senatore.

Dobbiamo dire grazie a Giovanna Gagliardo che, con Il mestiere di vivere, presentato in questi giorni al Torino FF, rende omaggio a Cesare Pavese, uno degli intellettuali più influenti del Novecento italiano. Il doc, accorato, il cui titolo richiama uno degli scritti più noti di Pavese, prende le mosse da Santo Stefano Belbo, paese natale dello scrittore. Trasferitosi a Torino e, frequentando il liceo Liceo “Massimo D’Azeglio”, Pavese conobbe Tullio Pinelli, Massimo Mila, Leone Ginsburg e Luigi Einaudi, che divennero, poi, negli anni gli amici più cari. Personalità poliedrica, fedele all’idea che compito dello scrittore debba essere quello di interpretare il proprio tempo, Pavese fu autore di diversi romanzi e di un paio di volumi di poesie.

Tra i primi a promuovere lo svecchiamento della cultura italiana, tradusse, tra gli altri, di “Moby Dick” di Herman Melville, di “David Copperfield“ di Charles Dickens e de “Il nostro signor Wrenn” del premio Nobel Sinclair Lewis. Instancabile consulente editoriale della casa editrice Einaudi, affidò a Fernanda Pivano, sua allieva preferita, tra gli altri, la traduzione di “Spoon River” di Edgar Lee Masters e di “Addio alle armi” di Hemingway. Il doc ricorda anche le infatuazioni dello scrittore per Milly, nota cantante e ballerina del tempo, e per Bianca Garuffi, collega della redazione romana della Einaudi. Anima solitaria e tormentata, Pavese si invaghì, poi, di Tina Pizzardo, giovane comunista che, per evitare i controlli della polizia fascista, gli chiese di spedire la corrispondenza clandestina al suo indirizzo di casa. Scoperto, fu condannato a tre anni di confino a Brancaleone Calabro ma, dopo una sua lettera accorata indirizzata al Duce, fu da questi graziato.

Tornato dal confino, dopo un anno, scoprì che Tina era sul punto di sposarsi. Si racconta che poi, si pentì per la richiesta di grazia indirizzata a Mussolini e che, amaramente, commentasse “Però Gramsci non l’ha fatto.” Pavese provò, inoltre, sempre una profonda ammirazione per chi aveva combattuto contro il fascismo e si tormentò per la morte di Leone Ginsburg e Gaime Pintor, caduti mentre si batterono per la guerra di Liberazione. Amante del cinema, collaborò, in qualche modo a Riso amaro di Giuseppe De Santis (1949), interpretato da Silvana Mangano e da Doris Dowling. Costance, sorella di quest’ultima, era una bionda americana che aveva interpretato in quello stesso anno Città dolente di Mario Bonnard. Dopo una tormentata love-story con Pavese, lei decise di ritornare in America. In un vano e disperato tentativo di trattenerla in Italia, Pavese scrisse per l’attrice otto soggetti cinematografici, raccolti nel volume “Il serpente e la colomba”. Uno di questi fu tradotto sul grande schermo da William Dieterle (1950) e divenne Vulcano, che non fu interpretato da Costance Dowling, come avrebbe voluto Pavese, ma da Anna Magnani.

Come è noto, Pavese si tolse la vita il 27 agosto del 1950, a soli 42 anni, in una pensioncina di Torino, nei pressi della stazione. Cinque anni dopo la sua morte, Michelangelo Antonioni, con il film Le amiche, tradusse sullo schermo il racconto “Tre donne sole”, tratto da “La bella estate”, che lo scrittore piemontese aveva scritto nel ‘33. Gagliardo suddivide il doc in vari capitoli, l’impreziosisce con gustosi materiali di repertorio e brani musicali dell’epoca. Inoltre, lascia che la voce off di un narratore, legga alcuni frammenti tratti dalle opere più famose dello scrittore piemontese. Interviste a Franco Ferrarotti, Natalia Ginsburg, Norberto Bobbio, Steve Della Casa, Raf Vallone e Carlo Lizzani.  Il doc ha un unico neo. La regista non menziona, infatti, il brano “Alice” di Francesco De Gregori. Il cantautore romano canta, infatti: “E Cesare perduto nella pioggia sta aspettando da sei ore il suo amore ballerino…”. La canzone fa riferimento a un evento che vide Pavese attendere, invano, sotto la pioggia, Milly, attrice e cantante alessandrina, che non corrispose mai il suo amore.


di Ignazio Senatore
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