Il discorso del re

“È così balbuziente, che ci lasceranno in pace”. È quello che pensava Elisabeth, una brava Helena Bonham Carter, coprotagonista insieme a Colin Firth (Coppa Volpi a Venezia per ‘A single man’) del film Il discorso del re, opera seconda del regista inglese Tom Hooper (suo il sopravvalutato “Il maledetto United e la serie TV “John Adams), in corsa – con 14 nomination ai Bafta e 12 candidature agli Academy Awards – agli Oscar 2011.
Dando voce alla futura consorte di Giorgio VI, Helena Bonham Carter, nella sua migliore interpretazione, si  riferisce, temendo gli obblighi di corte, all’indecisione della giovane lady di accettare la proposta di matrimonio di Albert (Bernie, per i famigliari), il balbuziente ed insicuro secondogenito di re Giorgio V d’Inghilterra, a cui, dopo la terza richiesta, finalmente risponderà di si. Invece la Storia ha preteso la rivincita di Bernie/Giorgio VI, divenuto re contro la sua volontà (padre dell’attuale Elisabetta II), assegnando anche alla futura regina un ruolo fondamentale per il sostegno psicologico del suo fragile consorte. Bernie, afflitto da una terribile balbuzie (straordinaria l’interpretazione di Colin Firth che tentenna, strabuzza gli occhi,  trattiene a denti stretti la rabbia e l’’impotenza’verbale e psicologica del suo personaggio), dovrà infatti affrontare  l’impegno di rappresentare la corona d’Inghilterra, subentrando al fratello Edoardo VIII, simpatizzante delle tesi hitleriane, che ha rinunciato al trono per sposare una pluridivorziata americana. A suo fianco sempre  rigorosamente regale, fiera, intelligente e affettuosa, la moglie Elisabeth che si ingegna di trovare nei quartieri più poveri di Londra un bizzarro logoterapista, l’australiano Lionel Logue, un brillante, istrionico ed eccentrico Geoffrey Rush, che salverà l’impaurito marito dai continui insuccessi pubblici trasformando la sua iniziale irritabilità mista ad arroganza, snobismo e arrendevolezza, in una graduale consapevolezza del proprio ruolo e che gli restituirà l’autostima necessaria per governare e dar fiducia ad un  paese che ancora non crede in lui. Bertie, un Firth impeccabile nella comunicazione legata, che ingessa nel corpo le emozioni, scalzerà il fratello “regneggiante” e salirà al trono col nome di Giorgio VI, trovando la corretta fonazione dentro il discorso che guiderà la sua nazione contro la Germania nazista.
Delicatamente ironico, a tratti malinconico, impeccabile ed  elegante, il film regala allo spettatore delle scene di forte impatto emotivo, conservando nei dialoghi frizzanti, vagamente ironici (gustoso il contraltare tra Bernie e Lionel ) e in ogni inquadratura ( felice la scelta di Hooper di utilizzare in alcuni casi la macchina a mano per inseguire i protagonisti e incollare sui loro visi l’obiettivo, per scavare la piu recondita delle emozioni), una misura e un rigore che sono la conseguenza di un buon lavoro di regia e di sceneggiatura (firma David Seidler), sebbene alcune lacune nel descrivere i difficili rapporti tra Giorgio VI, il fratello (Guy Pearce)  e il temuto padre (Michael Gambon) . Il discorso del re è sostenuto comunque da un impianto narrativo abbastanza solido, ma soprattutto fa affidamento su degli attori in vero stato di grazia. Illuminato dalla splendida fotografia di Danny Cohen, il film raggiunge un buon equilibrio tra le esigenze di ricostruzione storica e i momenti più emotivamente pregnanti della vicenda, amalgamando al meglio la poliedricità espressiva degli attori e offrendo anche una descrizione d’epoca sfaccettata e credibile. Tom Hooper,  infatti, con una regia sempre presente, concentrandosi molto sui vissuti interiori del personaggio principale, ha costruito una storia che ha un  ritmo narrativo cadenzato e che bene illustra una vicenda personale sullo sfondo delle alterne vicende della monarchia britannica alla vigilia della seconda guerra mondiale.Uno spazio temporale di precarietà, in cui la conservatrice corona inglese si trovò per la  prima volta di fronte alla pericolosa coincidenza fra pubblico e privato, sospesa tra i deliri hitleriani e il nascente potere dei mass media. Nella società britannica erano stati infatti proprio i mass media, e in particolare la radio, a dare scacco definitivo a un’idea sacrale di sovranità, separata dal corpo dei sudditi, non tenuta ad entrare a diretto contatto con essi.
La prova a cui è chiamato Bernie/GiorgioVI  rappresenta la chiave di svolte del film. Dopo il terribile e disastroso flop allo stadio di Wembley del 1926, il futuro re accetterà di sottoporsi alle  inconsuete lezioni di dizione, ma anche di vita, che includeranno anche un’incursione nei ricordi piu amari della fanciullezza (la perfida nanny che preferisce il fratello, il padre che lo terrorizza e costringe ad essere destroide, sebbene mancino, il fratello minore epilettico, nascosto alla nazione), condotte dall’irriverente e improvvisato logopedista, innamorato di Shakespeare, attore fallito scartato anche dai teatri di periferia. Il re sarà costretto ad affrontare attraverso la radio – che in assenza di visivo svela comunque la realtà umana, concreta e contingente del suo potere  – e a rivelarsi per quello che è. Il microfono radiofonico, infatti, terrorizza e perseguita il protagonista come un  moderno e feticcio tecnologico che con a sua concretezza oggettiva rimanda a quella, temuta, del corpo dello stesso re, ingessato dall’etichetta di corte e dalla paura di essere comunque se stesso.


di Patrizia Rappazzo
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