Figli/Hijos

Come dice Marco Bechis, il regista italo-argentino di Garage Olimpo e Figli/Hijos, obiettivo del cinema (e non solo del suo) è lasciare nello spettatore un’emozione che duri il più a lungo possibile. Con il suo ultimo film Figli, Bechis conferma il proposito e semmai lo spinge più avanti. Se con Garage Olimpo si raccontava il cuore della tragedia argentina dei desaparecidos, con Figli/Hijos non si vede l’orrore nel suo farsi (le camere di tortura, la mortificazione dell’uomo, gli omicidi del potere) ma gli effetti di quell’orrore, in questo caso i figli strappati appena nati alle madri poi uccise per essere affidati a famiglie spesso complici del massacro.
Oggi quei bambini sono diventati adulti e si trovano a dover fare i conti con un nuovo dolore: continuare a ignorare chi sono oppure accettare l’idea che i falsi genitori che li hanno cresciuti sono in realtà degli aguzzini. Una scelta difficile, forse addirittura impossibile, che Bechis propone alla ragione e alla coscienza dello spettatore occidentale, e attualizza al nostro tempo: peggio dell’orrore del passato è la metabolizzazione di quell’orrore nel nostro presente.
Al centro del film, dunque, non ci sono solo Javier e Rosa, figli di desaparecidos che cercano di dare un nuovo futuro alla loro vita, ma c’è la determinazione ad andare avanti nell’affermazione della verità, anche a costo di sbattere il pugno sul tavolo di una casa borghese con vista sul lago, o anche mettendo a repentaglio equilibri familiari in apparenza perfetti e basati invece sulla menzogna e sul sangue.
A chi fa appello alla pacificazione e al perdono, Bechis oppone un cinema esemplare e rigoroso, non a tesi e mai ripiegato nella retorica dei sentimenti, viceversa lucido nella proposta di un dolore che nasce dalle strutture del potere ma che deve essere affrontato e risolto nella dimensione del privato.
di Piero Spila