Banel & Adama

La recensione di Banel & Adama, di Ramata-Toulaye Sy, a cura di Mariella Cruciani.

Opera prima della regista franco-senegalese Ramata-Toulaye Sy, Banel & Adama è un film potente e di grande forza espressiva, anche se di difficile definizione. Comincia, infatti, come una fiaba e termina come una tragedia: all’inizio, la protagonista Banel (Khady Mane), con i suoi abiti sgargianti, sembra uscita da Kirikù e la strega Karabà, nel finale, invece, ricorda Medea di Pasolini.

Se, nel cartone di Ocelot, il piccolo Kirikù toglie la spina avvelenata alla strega, rendendola una donna libera, qui, per un po’, si crede il contrario. Banel, ragazza ribelle, con maglie da uomo e capelli corti, pare capace di lottare, contro le costrittive tradizioni sociali, per l’affermazione di se stessa e dell’amato Adama (Mamadou Diallo).

Quest’ultimo è un diciannovenne diverso da tutti gli uomini del villaggio africano nel quale è ambientata la storia e, per amore di Banel, è disposto a rifiutare, persino, il titolo di capo. Per la prima parte del film, si è condotti a pensare che, se la donna realizza la sua identità e l’altro l’aiuta e la rispetta, ciò porterà alla nascita di un uomo nuovo. Anche il nome del protagonista – Adama – potrebbe alludere al primo esemplare di una specie maschile rinnovata.

Le cose, però, non sono così semplici: arriva la siccità, le mucche muoiono e molti abitanti pensano di andarsene. Adama che, fino ad allora, aveva resistito alle lusinghe del potere, è ora risucchiato dalle preoccupazioni per il destino collettivo e trascura la compagna. Banel non accetta il cambiamento, si sente tradita e si chiude in se stessa…

Il personaggio femminile è presentato come un’eroina, vittima dell’amour fou, come Adele H di Truffaut o Camille Claudel di Nuytten. In realtà, andando a fondo, si scopre che il suo non è un amore libero, disinteressato ma il tentativo disperato di riempire un vuoto: senza Adama, Banel non esiste. Dalla passione reciproca si piomba, ben presto, in piena ossessione maniacale e tutto intorno, non solo metaforicamente, inaridisce e muore. La parabola discendente della protagonista, il suo viaggio emotivo, sono rappresentati attraverso i colori che, da luminosi e sgargianti, virano verso il bianco, per poi scomparire e arrivare alla desaturazione, testimonianza di un percorso umano che, seppur autodistruttivo, cattura la nostra attenzione dalla prima all’ultima inquadratura.


di Mariella Cruciani
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