Anora
La recensione di Anora, di Sean Baker, designato Film della Critica dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani – SNCCI.

Anora, di Sean Baker, distribuito da Universal Pictures, è stato designato Film della Critica dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani – SNCCI con la seguente motivazione:
«L’abilità di Sean Baker nel mettere al centro il corpo e il sesso per parlare (anche) di altro trova qui la sua espressione più compiuta. Raccontando un percorso di consapevolezza femminile incalzante e frenetico che si scontra con le disuguaglianze economiche e sociali della nostra epoca, il regista firma un lavoro, psichedelico ma sotteso dall’oscurità, di regia, montaggio, scrittura e recitazione, di grande intrattenimento, senza essere privo di un graffio autoriale coraggioso e indipendente».

La recensione
di Marianna Cappi
Non è certo la prima volta che Sean Baker si occupa di giovani donne e sesso a pagamento, ma con la storia di Anora (Mickey Madison), giovane stripper di night club, e del principino russo che s’incapriccia di lei e la paga per tenerla con sé una settimana, sperimenta qualcosa di nuovo. Non è un caso che il film apra in maniera particolarmente fastidiosa, e continui così, ostentando vuoto e arroganza, finché può star certo di aver ottenuto l’effetto cercato. È importante: o il ribaltamento che si prepara non potrebbe aver luogo. Anora, infatti, è un film che lavora sul rapporto (e sul capovolgimento) tra superficie e profondità. Dove per profondità s’intende struttura. Non è il contenuto, ma la forma della fiaba ad essere oggetto di stravolgimento.
Se non fosse per l’indicazione nel titolo, all’inizio il protagonista del racconto sembrerebbe quasi essere il ragazzino milionario, tanto il personaggio della ragazza è piatto, superficiale (appunto), privo di un moto interiore. Poi il numero di personaggi aumenta, con due conseguenze principali. Da un lato Anora diventa il centro di qualcosa, un piccolo gruppo selvaggio, non serve più solo se stessa ma si adombra un discorso più complesso, un discorso di classe; e in secondo luogo, l’affastellarsi dei nuovi personaggi crea un certo disordine, rimescola il genere, sapientemente disorienta. A questo punto, a film ben inoltrato, fa la sua apparizione Igor (Yuriy Borisov), come il più marginale, il secondo tra i secondi. Senza quasi che ce ne accorgiamo, il suo personaggio cresce fino a raggiungere il primo piano e a farsi coprotagonista a tutti gli effetti. E nel finale, questo intruso entrato in scena sotto pelle, vince tutto: è il salvatore e il salvato; e il film, cominciato come uno sfoggio di superficie, tocca una profondità commovente, diventando davvero una storia d’amore, all’ultimissimo momento. In quel minuto di neve che cade sul finestrino dell’auto, nel silenzio, l’unico rumore che si sente è quello del lavorìo del cinema.

di Marianna Cappi