Quattro figlie
La recensione di Quattro figlie, di Kaouther Ben Hania, a cura di Carlo Griseri.
Un po’ documentario, un po’ fiction, con confini labili e spesso difficili da identificare, con la consapevolezza che ogni nostro ricordo può essere (più o meno volontariamente) lontano dalla realtà: Quattro figlie della regista tunisina Kaouther Ben Hania è il frutto di quasi dieci anni di lavoro e di molti cambiamenti in fase di scrittura, ma ha trovato nella sua forma definitiva l’unica apparente sua versione possibile.
Volendo trovare una definizione (ma è necessario?) lo si potrebbe chiamare “meta documentario”: l’autrice filma il tentativo di ricostruire con gli strumenti tipici del doc la storia della famiglia di Olfa, in cui due delle quattro figlie un giorno sono fuggite per unirsi al terrorismo islamico, diventando delle ricercate e finendo poi in carcere. Il vuoto lasciato da questo doppio gesto cerca di essere colmato con il cinema: Ben Hania coinvolge due attrici per rimettere in scena le dinamiche familiari perdute, ma chiama anche una star del cinema tunisino, Hend Sabri, per sdoppiare la figura materna e mettere anche lei di fronte a (eventuali) colpe e responsabilità.
Un affascinante gioco di specchi tenuto sotto controllo con maestria da una regista che in passato ha lavorato in tutti i generi (due film tradizionali arrivati anche nelle nostre sale, La Bella e le bestie e L’uomo che vendette la sua pelle; documentari classici e mockumentary dichiarati) e da queste esperienze trae una sceneggiatura che mescola i livelli e manda in confusione (voluta, necessaria) pubblico e – in parte, è mostrato nel film – cast.
Un processo di creazione da studiare e su cui riflettere, ma Quattro figlie è anche – più semplicemente – un oggetto filmico raro e stimolante, emozionante e coinvolgente.