A Quiet Place: Giorno 1

La recensione di A Quiet Place: Giorno 1, di Michael Sarnoski, a cura di Francesco Di Brigida.

Un franchise che procede nei suoi capitoli in ordine cronologico inverso. Era una delle trovate formali che lo hanno reso accattivante fino all’uscita di questo terzo capitolo, A Quiet Place: Giorno 1 appunto, che in preda al suo stesso marketing sulla locandina promette solennemente: “Scopri perché il mondo è piombato nel silenzio”. Negli episodi precedenti avevamo capito che questi mostri alieni mangia-umani erano ciechi ma dall’udito fino. Avevamo anche arguito, insieme ai protagonisti, che l’udito era il loro punto debole, con una serie di trovate thrilleriche originali per scenari narrativi inediti nonostante la similitudine alla matrice ispiratrice Guerra dei Mondi. Ma ora la scena dei meteoriti che cadono improvvisamente nel secondo capitolo in una cittadina americana durante una partita di baseball di ragazzine si ripete cambiando soltanto location e quantità di oggetti dal cielo.

Siamo nella rumorosa New York e una donna con un grave male viene sorpresa dall’invasione aliena proprio durante una libera uscita accompagnata da un infermiere. Ha con sé le sue medicine e il suo gatto, e la lotta alla sopravvivenza diventerà una sfida continua in pochi attimi. Inaspettato compagno di disavventure un giovane in giacca e cravatta, i due, insieme al gatto ne combineranno di ogni tipo per sfuggire ai mostri implacabili.

Adesso, va bene il monster-movie estivo senza troppe pretese rivolto al pubblico giovane, e ottima l’esecuzione produttiva di Paramount con lo zampino di Michael Bay. Ma, parlando di coerenze narrative, pretendere che un gatto non miagoli mai, scampandola sempre e comunque tra macerie e mostri infingardi, anche sott’acqua e senza emettere suoni, diventa fortemente risibile. Non ci sono buone idee nuove in questo film rispetto ai precedenti, soltanto un’asticella più alta sul budget, ricostruire una New York sotto attacco infatti non è cosa da poco. Credibili e solidi quanto sprecati risultano giusto i protagonisti: Lupita Nyong’o, potentissima in maschera e in totale contrasto con il suo fisico smagrito dalla malattia del personaggio (un suo grido in particolare, muto e con gli occhi fuori dalle orbite, varrebbe artisticamente l’intero film), e poi l’astro nascente Joseph Quinn, che dopo la serie Stranger Things targata Netflix e la pregevole opera prima britannica Hoard, assalta Hollywood con “quantità”. Partecipare, con qualità nonostante la sua parte senza troppe pretese, a giocattoloni schermici estivi tutta aria condizionata e pop-corn fa parte della gavetta di quello che potrebbe divenire un grande attore.


di Francesco Di Brigida
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