L’innocenza

La recensione di L'innocenza, di Kore-eda Hirokazu, designato Film della Critica dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani – SNCCI.

L’innocenza, di Kore-eda Hirokazu, distribuito da Bim Distribuzione, è stato designato Film della Critica dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani – SNCCI con la seguente motivazione:

«Kore-eda intreccia verità e menzogna, manipolazione e innocenza, in un racconto di bullismo e relazioni scolastiche osservato da diversi punti di vista. Strutturato come un puzzle, il film mette in scena una riflessione esemplare sui limiti dello sguardo e del sapere e, attraverso l’amicizia fra due adolescenti, coglie l’ineffabile fragilità dell’amore puro».

La recensione
di Mariella Cruciani

Il titolo del film L’Innocenza di Hirokazu Kore-eda è, tradotto dall’originale Monster e funziona di più per coglierne il nucleo profondo. “Chi è il mostro?” ripete una canzoncina-tormentone e lo spettatore si interroga proprio su questo.

All’inizio, se non mostro, quantomeno enigmatico e stravagante, appare Minato (Soya Kurokawa), undicenne orfano di padre e con una madre apprensiva. Successivamente, i suoi strani comportamenti sembrano dovuti alla severità del maestro Hori ma è davvero così o Minato è un bullo che si diverte ad infierire su Yori (Yota Hiiragi), il bambino “con il maiale nel cervello?”

O, forse, la vera antagonista è la Preside Makiko che, si dice, abbia addirittura investito con l’auto la nipotina? E il padre alcolista di Yori che ruolo gioca nella vicenda? Intanto, un palazzo della città brucia e il regista dissemina indizi sul possibile colpevole per accendere, ancor più, la nostra curiosità.

Alla fine, il segreto del film è semplice ma, più che la rivelazione, conta la struttura del racconto che, contrapponendo diversi punti di vista, problematizza e relativizza la visione. Ci si trova di fronte a una sorta di rompicapo, un puzzle psichico con tessere volutamente confuse. Soltanto nel finale, tutto si ricompone e le azioni dei personaggi acquistano senso e trovano, finalmente, un movente.

Non solo, possiamo persino ricavarne un paio di morali: “a volte, per non farsi troppo male, conviene piegarsi come giunchi” e “bisogna soffiare via il dolore, se non lo si può dire”. I due piccoli protagonisti, Minato e Yori, lo sanno e sfidano solitudine e incomprensione con forza e leggerezza a la Truffaut.


di Mariella Cruciani
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