Post Mortem di Pablo Larain – 67a Mostra del Cinema di Venezia – Concorso
Pablo Laraín è un regista cileno che ha già diretto due film pregevoli: Fuga(2005) e Tony Manero (2008), il secondo dei quali ha ottenuto moltissimi riconoscimenti nei numerosi festival in cui è stato presentato. La Mostra ha accolto, in concorso, la sua terza fatica: Post mortem. Il film conferma le linee tematiche e stilistiche che guidano quest’autore. Le prime focalizzano i comportamenti e i guasti psicologici che marcano la mente della gente comune davanti alle aggressioni, morali e fisiche, della dittatura. Nel caso di Tony Manero a essere messo in discussione era l’imperialismo culturale nordamericano che schiaccia l’America Latina e non solo. La storia del poveraccio che arriva all’omicidio nel delirio di imitare John Travolta in una miserabile trasmissione televisiva, mette in luce, in tutto il suo orrore, gli stravolgimenti, mentali e fisici, indotti in persone apparentemente normali, in realtà schiave della cultura dominante. In questo nuovo film lo scenario è quello dei giorni del golpe organizzato, l’11 settembre 1973, dai militari guidati dal generale Augusto Pinochet che deposero e uccisero Salvador Allende, presidente regolarmente eletto in rappresentanza di un’alleanza di sinistra (Unidad Popular). Il tutto visto attraverso gli occhi di uno stenografo forense, addetto alla trascrizione dei referti delle autopsie in un grande ospedale di Santiago del Cile Il quieto tram tram, se così si può dire, del suo lavoro è sconvolto da due eventi: l’innamoramento per una matura stella del varietà e il colpo di stato. La prima lo mette in contatto con una donna disillusa, spregiudicata, pronta a usare il sesso come merce di scambio. Il secondo lo inorgoglisce con la nomina a membro dell’esercito, lo turba per l’enorme quantità di cadaveri che piombano nell’obitorio e per le crescenti violenze di cui è testimone. Un corto circuito che innesca un vero e proprio delitto destinato a rimanere impunito: quando scopre che la donna è l’amante di un militante ricercato dai golpisti, mura entrambi nell’angusto scantinato in cui si sono nascosti, condannandoli a morire di fame. Sul piano stilistico il film conferma la strada prediletta di quest’autore, con sequenze segnate da un respiro lento, ritmo quasi simile a quello del tempo reale e ampi brani privi di dialogo. Sono scelte che funzionano quando davanti alla macchina da presa ci sono attori di grande capacità, in questo caso Antonia Zegers e Alfredo Castro, già protagonista diTony Manero, sono più che all’altezza della bisogna.
di Umberto Rossi