Potiche di François Ozon – 67a Mostra del Cinema di Venezia – Concorso
Potiche è un termine francese che individua un oggetto di poco valore che si mette su un mobile con funzioni decorative. In italiano potremmo anche tradurlo La bella statuina, anche perchè, in senso traslato lo si utilizza anche per individuare, in modo non positivo, una donna che vive all’ombra del marito. Il film che François Ozon ha tratto dall’omonimo testo teatrale di Jean-Pierre Grédy e Pierre Barillet, rappresentato con successo nel 1980 e che uscirà sui nostri schermi con l’infelice titolo Quel genio di mia moglie, modifica il finale del copione teatrale inserendovi la sconfitta, in famiglia, della protagonista e il suo successo in politica. Il nocciolo del testo è nella rivendicazione del ruolo sociale e umano delle donne in una società maschilista. La regia colloca la storia nel 1977, in una cittadina di provincia ove una fabbrica di ombrelli ha un ruolo fondamentale per l’economia della zona. L’azienda è diretta dal classico padrone delle ferriere che considera gli operai semplici bestie da soma. Un infarto lo costringe a consegnare le redini del potere alla moglie, figlia del fondatore dell’azienda, che rivoluziona i rapporti con il personale, coinvolge i figli nella direzione, ammoderna la produzione. Quando il padrone ritorna dalla convalescenza, lo scontro con la consorte diventa inevitabile, da qui divorzio e un’altra strada per la donna che, in gioventù non è stata così irreprensibile come molti credono. E’ un testo brillante che, con lo scorrere degli anni ha perso non poca attualità e a cui il regista, ricreando l’atmosfera – le canzoni vi hanno un ruolo importante – fine anni settanta, assegna più in un ruolo filologico – museale che quello di un’opera attuale ancor oggi. Film d’attori per eccellenza trova in Catherine Deneuve e, soprattutto, in Fabrice Lucchini due puntelli robusti e indispensabili.
di Umberto Rossi