Le splendide sorprese dell’ultimo Resnais
I film che il regista francese ha diretto in sessantacinque anni di attività hanno una caratteristica unica al mondo: uno è decisamente diverso dall’altro.
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«Andare in pensione alla mia età? Non me lo posso permettere, devo lavorare come tutti per sopravvivere e pagare le tasse!» rispondeva candidamente Alain Resnais a chi si meravigliava che, alla vigilia dei novant’anni, si ostinasse a voler fare ancora dei film. I diciannove che ha diretto in sessantacinque anni di attività hanno una caratteristica unica al mondo: uno è decisamente diverso dall’altro, al punto che a volte si stenta a credere appartengano allo stesso autore (Hiroshima mon amour, L’anno scorso a Marienbad, Muriel, La guerra è finita…tanto per citare i primi quattro capolavori); ma l’eclettismo è una qualità non molto apprezzata in Francia, non meraviglia che qualche purista gliel’abbia contestato. L’ultimo suo film distribuito in Italia è finora Les herbes folles (2009), titolo italiano Gli amori folli, premiato per la regia a Cannes ma una palma d’oro ci stava tutta; dei due che ha realizzato negli ultimi cinque anni prima di spegnersi nel marzo scorso – Vous n’avez encore rien vu (2012) e Aimer, boire e chanter (2014) – il pubblico italiano purtroppo non sa nulla, finora nessuno dei nostri distributori si è fatto avanti. Trattandosi di due opere di prim’ordine, tra le migliori uscite in quest’ultimo quinquennio, mi permetto qui di spezzare una lancia in loro favore, a titolo di tardivo “risarcimento”.
Vous n’avez encore rien vu (“Non avete ancora visto niente!”, un titolo scherzosamente scaramantico) è una libera versione del dramma Eurydice di Jean Anouilh. Per ragioni produttive negli ultimi tempi il patriarca Alain ha dovuto rifarsi a dei testi teatrali, che costano meno delle sceneggiature originali. Per rendere più vivace e attuale la “pièce” datata 1941, con un’operazione di alta chirurgia estetica il regista bretone fa precedere l’evocazione del dramma di Orfeo ed Euridice da un ampio, geniale Prologo tratto da un’altra “piece” di Anouilh (Cher Antoine ou l’amour raté, “Caro Antoine, o l’amore sbagliato”). Drammaturgo e regista insoddisfatto, sentendosi poco amato Antoine d’Anthac prima di sparire (un suicidio?) fa convocare al completo nella sua dimora di campagna la sua fedele “troupe”. Ha un preciso favore da chiedere ai suoi ex interpreti da una vita: visionare in sua vece il filmato delle prove di una sua “pièce”, Eurydice per l’appunto, che una Compagnia sperimentale di Giovani vorrebbe mettere in scena; a loro decidere se appoggiare o meno l’iniziativa. Mentre visionano il filmato delle prove della nuova Compagnia, gli “Amici di Antoine” si sentono così visceralmente coinvolti nel dramma di Orfeo ed Euridice (conoscono la “pièce” a memoria) da riviverlo in prima persona sotto i nostri occhi; l’interesse dell’esperimento per noi spettatori è nel confronto dialettico tra le reazioni emotive degli “Amici di Antoine” e quello che vedono nel filmato delle prove da parte della Compagnia sperimentale; un formidabile gioco di specchi.
«La scommessa e l’interesse del film – spiega il regista – sta nel confronto, un continuo andirivieni, tra le due Compagnie di interpreti, la tradizionale e la moderna. Questa dialettica rinforza l’emozione del problematico ritrovamento di Orfeo ed Euridice: l’amore, la morte, la vita dopo la morte, hanno ancora una loro attualità sulla scena oggi? Ecco il punto.» (Per il pessimista Jean Anouilh l’amore assoluto esiste solo dopo la morte, Orfeo ed Euridice si possono rincontrare solo nell’aldilà. «Voglio vivere, amare, essere amata!» grida alla fine Euridice, e sono le sue ultime parole.)
Innamorato delle sperimentazioni più spericolate, Alain Resnais orchestra magistralmente questa indiavolata partitura musicale, dove le continue rotture di ritmo obbligano gli spettatori a dei salti vertiginosi. Non si può che ammirare l’originalità della concezione, la complessità della narrazione ordita su vari piani, i sottili giochi di specchi e di rimandi da una “troupe” all’altra. Mi domando come possano i nostri distributori rimanere insensibili a questo appassionante fuoco d’artificio messo in scena da uno dei cineasti-poeti più immaginativi del secondo novecento… Fatte le debite proporzioni, sarebbe un po’ come se un secolo fa l’Opéra di Parigi avesse rifiutato di presentare la Turandot pucciniana con il pretesto che era troppo sperimentale.
Dopo essersi cimentato con l’arduo dramma di Orfeo – amore e morte, cambiando totalmente genere il regista bretone gira la più folle delle commedie: Aimer, boire et chanter (2013). La “pièce” a cui si ispira, firmata dall’amico inglese Alan Ayckbourn – Life of Riley – ha un titolo intraducibile, d’accordo con il produttore Livi, Alain lo sostituisce con un gagliardo gioco di parole, in omaggio a una spensierata operetta viennese di Johan Strauss: “Cantare, bere, mangiare è la nostra ragion d’essere, ci vuole nella vita un granello di follia” dice una celebre aria dell’operetta. Che Resnais fosse dotato anche per la commedia lo sapevamo: Niente baci sulla bocca, Parole parole parole, Mio zio d’America, La vita non è un romanzo, Smoking/No smoking, Voglio tornare a casa ridondano di risvolti comici. Fa davvero tenerezza pensare che il patriarca del cinema francese si licenzi dal cinema e dalla vita nel segno della leggerezza. «Sono cosciente che alla mia età posso mancare da un momento all’altro – ripeteva Alain negli ultimi tempi -, che potrei anche non vedere il film cui sto lavorando, ma finché in me sopravviverà la curiosità sono convinto di poter sopravvivere.» Che splendida medicina la curiosità di vivere; prima di lasciarci a 91 anni Alain riuscirà non solo a condurre in porto il suo diciannovesimo film, terminerà anche la stesura del copione di un altro film pronto da girare!
Aimer,boire et chanter (2013) è ambientato in un pacifico villaggio dello Yorkshire. La tranquilla esistenza di tre rodate coppie di amici viene scombussolata da una ferale notizia: un loro grande amico d’infanzia, un certo George Riley, si è ammalato gravemente; nel tentativo di alleviare al morituro il peso degli ultimi mesi di vita si scatena una sorprendente gara di commovente solidarietà fra le tre sensibili signore: l’insoddisfatta Katryn (Sabine Azéma), la materna-remissiva Tamara (Caroline Silhol), e l’insicura giovane istitutrice Monique (Sandrine Kiberlain) ex compagna di George, si offrono di assistere ognuna a suo modo l’infermo (George non appare mai in scena). I loro baldi mariti non riescono a capire le ragioni di tanta eroica dedizione verso un fantasma d’uomo dalle capacità seduttrici ormai ridotte al lumicino; ma si sa, in ogni cuor di femmina alberga una potenziale crocerossina. In una suite di irresistibili quiproquo la situazione diventa vieppiù inestricabile, e intanto l’ombra della morte si aggira sullo sfondo, si avvicina… In un sorprendente, poetico gran finale a sorpresa di sua invenzione, Resnais trova l’ardire di burlarsi persino della morte.
La povertà di mezzi a disposizione ha obbligato produttore, regista e scenografo a dei salti mortali: le facciate delle quattro dimore dei protagonisti – pareti, porte, finestre – sono sostituite da semplici tende e pannelli dipinti come a teatro, gli interludi sono disegnati da un noto autore di fumetti; ma questa ibridazione dichiarata tra cinema e teatro non disturba minimamente. Complice un sestetto d’attori strabilianti, emulo del suo maestro Lubitsch, Alain il più geniale dei montatori riesce a creare un ritmo musicale travolgente, a inventare delle soluzioni registiche che incantano lo spettatore anche più raffinato. Alla prima italiana di Aimer, boire et chanter (“France Odeon”, Firenze 2 novembre 2014) ho visto molti fazzoletti in sala; gli spettatori che gremivano l’Odeon non si limitavano ad applaudire freneticamente, qualcuno parlava chiaramente di capolavoro; se i nostri distributori si degnassero qualche volta di guardare i film nelle sale colme di spettatori…
Alain Resnais l’irrimpiazzabile si licenzia dunque con questo solare inno alla vita, il canto del cigno di un patriarca che osserva sorridendo come dall’aldilà il patetico spettacolo delle risibili passioni umane. Rispondendo alle domande degli spettatori – la superba sala dell’Odeon era gremitissima – il produttore Jean-Louis Livi un groppo in gola ha fatto ai presenti una sorprendente promessa surreale, in perfetto stile resnaisiano: «Non ho parole per ringraziarvi di questa splendida accoglienza al nostro film. Prima di lasciarci, Alain mi ha consegnato un ultimo soggetto pronto da girare: Arriver, partir, un titolo che fa sognare. Non so come farò, ma vi prometto che un giorno o l’altro riusciremo a portarlo sullo schermo, in questo o in un altro mondo ! Arrivederci dunque al prossimo film di Alain Resnais!» “In questo o in un altro mondo”: nemmeno il più geniale sceneggiatore di professione avrebbe potuto trovare un’espressione così felicemente adatta alle circostanze; era sicuramente l’immaginario dell’amico Alain a dettarla al produttore. Grazie Jean-Louis Livi (degno nipote del grande Yves Montand, attore di lontana origine toscana) per aver consentito al genio così discreto di Alain Resnais di restare fino all’ultimo sulla breccia, correndo ogni volta dei rischi finanziari. Ma sappiamo che il miglior ringraziamento per un produttore è veder circolare i propri film: e allora, amici distributori italiani, suvvia, diamoci una regolata.
di Aldo Tassone