Incontro con Paolo Benvenuti
L’intervista di Paolo Benvenuti verrà pubblicata integralmente sul numero 22 di CineCritica
“Il bacio di giuda”, il suo primo lungometraggio, ricorda molto ACTO DA PRIMAVERA di Manoel de Oliveira per il tema della sacra rappresentazione e il legame con il teatro.
C’è, inconsapevolmente, un’origine comune tra me e De Oliveira. Intanto devo dire che, anche se molti credono che io abbia esordito con IL BACIO DI GIUDA, in realtà, ho cominciato a fare cinema venti anni prima, nel ’68. Nel 1971 ho realizzato un film, “Medea”, con i contadini di un paesino dei monti vicino Pisa e, attraverso loro, sono entrato in contatto con la cultura popolare e la sacra rappresentazione: “Il bacio di Giuda” si portava , dunque, dietro la lezione che avevo ricevuto da questa esperienza. A quel tempo facevo l’aiuto regista di Jean-Marie Straub, il quale, in questo stesso paesino, Buti, ha poi girato i film “Sicilia”, “Operai contadini” Anche DALLA NUBE ALLA RESISTENZA è girato nello stesso luogo, un luogo particolarmente magico dove sopravvive una cultura teatrale, epica molto importante. Nel momento in cui ho visto il film di De Oliveira ho capito che c’erano moltissime assonanze con il mio, addirittura delle inquadrature uguali.
Giuda, nella prima scena, dice: “Questa è la cronaca di Matteo, la più precisa…”. E’ un omaggio a Pasolini e al suo Vangelo? Tra l’altro, nel suo film ci sono molte sequenze, per esempio quella della cacciata dei mercanti dal tempio, che evocano, figurativamente, il cinema pasoliniano…
La formazione culturale, pittorica pasoliniana è molto vicina alla mia: io vengo dalla pittura. Sono un ex-pittore, o meglio, sono un pittore che, ad un certo punto, ha smesso di utilizzare il pennello e la tela per usare la cinepresa. Lo spirito, però, è lo stesso e l’amore per la storia dell’arte, soprattutto per la cultura italiana rinascimentale, manierista, barocca, è alla base delle mie scelte.
Il gioco di luci in “Confortorio” rimanda a Caravaggio?
Nasce dalla lezione di Caravaggio ma, in realtà, sono i fiamminghi post-caravaggeschi. Ci sono tutta una serie di pittori, che operano a Roma nello stesso periodo della vicenda narrata nel film, i quali si portano dietro la lezione del Caravaggio. Questo perchè lo Stato Pontificio era fortemente conservatore, non solo dal punto di vista politico, ma anche culturale. Mentre nel resto d’Europa i Lumi illuminavano la pittura, per cui esplodevano i rosa, i bianchi, gli azzurri, ecc, il conservatorismo culturale pontificio influenzava moltissimo i pittori che operavano a Roma nel Seicento-Settecento, i quali continuavano a dipingere all’antica. Facendo un film ambientato nell’oscurantismo dello Stato Pontificio, non potevo non fare riferimento a quel clima culturale: è lì che affondano le radici dell’iconografia del film.
In “Confortorio”, uno dei due ebrei, di fronte alla violenza della forzata conversione, (“Il tuo Dio e il nostro Dio sono uno stesso Dio”), replica, con forza: “Il mio Dio non si impone, è…”
E’ lo scontro profondo, ideologico che c’è tra cattolici ed ebrei tra due diverse concezioni di Dio. I cattolici fanno proselitismo: hanno un Dio da imporre alle masse. Gli ebrei, no.
Per “Tiburzi” quali sono stati i riferimenti iconografici?
Ogni film è definito storicamente e, pertanto, iconograficamente: c’è sempre una relazione molto stretta tra il periodo in cui il film è ambientato e il riferimento pittorico che influenzava quell’epoca. Per quanto riguarda “Il bacio di giuda” il riferimento è la storia della pittura da Giotto a Masaccio, a Piero della Francesca, cioè la pittura toscana del Rinascimento, fino ad avvicinarci al Barocco. Il Barocco esplode in “Confortorio”. Per “Tiburzi”, i riferimenti iconografici sono stati i macchiaioli, i pittori di genere ottocentesco, realisti, che operavano in Italia nella seconda metà dell’Ottocento, ma anche l’iconografia popolare, per esempio i tableaux dei cantastorie o l’iconografia degli ex-voto. Il film si muove tra due classi sociali, la borghesia e il mondo contadino, usando come riferimento anche i fratelli Alinari, che hanno fotografato la Maremma dell’Ottocento, e i Lumière . Non dimentichiamoci che il 1896, l’anno dell’uccisione di Tiburzi, è anche l’anno della nascita del cinema. Non solo: c’è un riferimento preciso alla Francia. Tiburzi torna da lì ed è come se si portasse dietro la scia di qualcosa che va colto, cioè proprio la nascita del cinema. Per “Gostanza da Libbiano” il discorso si sposta sul manierismo e soprattutto su Angelo Bronzino. Tutto questo, non per dire che faccio dei film in cui cerco di riprodurre i quadri ( l’ho fatto, magari, in CONFORTORIO), bensì il contrario, cioè parto dalla pittura per arrivare al cinema. Questo, con “Gostanza da Libbiano”credo di averlo sottolineato abbastanza, addirittura eliminando il colore.
di Mariella Cruciani