Il ventre dell’architetto, una lettura freudiana

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ventrearchitettogreenawayIl ventre dell’architetto (1987) di Peter Greenaway viene comunemente considerato dalla maggior parte della critica come un esercizio formale fine a se stesso o come un film sulla “romanità”.

In verità, quest’opera e, più in generale, il cinema di Greenaway, spesso accusato di ridurre gli esseri umani a puri fattori grafici della composizione, si rivela, se ben indagato, capace di rappresentare i più profondi meandri dell’anima.
Nel caso specifico, le travagliate vicende dell’architetto Kracklite appaiono non dissimili da quelle del presidente Schreber, di cui si occupa Freud in un saggio del 1910. Con il presidente Schreber, l’architetto ha in comune non pochi tratti esteriori (entrambi sono sposati e hanno, più o meno, la stessa età) ma anche e , soprattutto, la struttura complessiva della malattia. Il malessere del presidente si manifesta una prima volta con un attacco di ipocondria: egli ritiene che il suo corpo sia oggetto di orribili manipolazioni e subisca cose terrificanti. Accanto alle idee ipocondriache affiorano, successivamente, idee di persecuzione: il malato ritiene di essere perseguitato e danneggiato dal suo vecchio medico curante.

Analogamente, l’architetto Kracklite, giunto a Roma con la moglie Luisa per allestire una mostra su Boullée, comincia a soffrire di sospetti mal di pancia, che si acuiscono quando Caspasian, architetto anche lui, racconta come l’imperatore Augusto sia morto avvelenato con dei fichi dalla moglie Livia. Da questo momento in poi, Kracklite è preda di una vera ossessione: si identifica con Augusto e confronta, in continuazione, il proprio ventre con quello della statua dell’imperatore.
Non pago di ciò, vuole, in piena notte, obbligare la moglie a mangiare i presunti fichi avvelenati. Infine, indirizza al suo nume tutelare Boullée, morto nel 1799, cartoline illustrate nelle quali lamenta i dolori all’addome e denuncia il piano criminoso della moglie. Ben presto, quindi, anche nel caso di Kracklite, l’ipocondria diventa tutt’uno con il delirio di persecuzione, come dimostra, tra l’altro, la sequenza nella quale il protagonista scherza, ma non più di tanto, con la moglie riguardo al rasoio e al suicidio. Kracklite teme di morire per mano della donna ma il vero oggetto del suo odio è il giovane Caspasian il quale, davvero, alla fine, si impossesserà, oltre che della moglie e del figlio, anche della mostra dello sventurato architetto.

Ma si tratta davvero di odio? Nello scritto citato Freud sostiene che la paranoia rappresenta una forma patologica di difesa da una situazione insopportabile e aggiunge che la difesa consiste in una proiezione all’esterno del contenuto della rappresentazione incompatibile con l’Io.
In altre parole, la fantasia di desiderio omosessuale costituisce il centro del conflitto della paranoia: il meccanismo di proiezione fa sì che la proposizione “io amo lui” si trasformi in “egli mi perseguita e ciò mi autorizza ad odiarlo”. L’odio per Caspasian celerebbe, quindi, un assalto di libido omosessuale. In effetti, le sequenze del film che confermano questa ipotesi sono non poche. Subito dopo la conoscenza degli Speckler, l’architetto osserva come abbiano tutti molto fascino, specialmente Caspasian.
Successivamente viene sorpreso, a piazza Navona, a fotografare statue di figure maschili e, infine, anche la moglie incinta lo accusa di interessarsi esclusivamente ad addomi maschili e, in tono di sfida, gli domanda: Vuoi rinunciare definitivamente alle donne? Detto ciò, gli porge una cartellina con delle foto che la ritraggono nuda, per ricordargli come sono fatte. L’architetto, non è chiaro se riferendosi alle foto o alle donne, replica: sono ignobili, oscene.

Freud, esaminando il caso Schreber, pone l’accento sulla ripetuta delusione da parte del malato della speranza di avere bambini: il matrimonio non donò, infatti, al presidente quel figlio su cui avrebbe potuto riversare la sua tenerezza omosessuale insoddisfatta. Conseguentemente, Schreber può bene aver fantasticato che, come donna, gli sarebbe riuscito meglio avere dei figli. Inutile dire che gli stessi elementi sono tutti presenti in Kracklite. L’architetto, durante una significativa conversazione relativa alla nascita di Cristo dalla Vergine, pronuncia la seguente battuta: in questo momento accetterei qualsiasi tipo di nascita.
Un’altra sequenza chiave è quella in cui Luisa, parlando a Caspasian del marito, dice esplicitamente: è ossessionato dal suo addome: forse crede di aspettare un bambino.
Infine, sempre Luisa, ormai decisa ad andarsene con Caspasian, rimprovera, per l’ennesima volta, all’architetto l’interesse morboso per il suo addome: la tua pancia è quasi grande come la mia – gli dice. Del resto, già in una delle sequenze iniziali, la donna aveva posto sullo stesso piano le sue interruzioni di gravidanza e l’incapacità del marito di portare a termine le cose: “Possiamo essere accusati entrambi di non consegnare la merce”. Il desiderio di maternità emerge anche nel finale: mentre Luisa cade a terra e l’architetto si getta nel vuoto, si sentono, in maniera apparentemente inspiegabile, dei vagiti.
La presenza di un bambino, inoltre, percorre e suggella l’intero film: quando Kracklite torna a casa e scopre il tradimento della moglie ne incontra uno per le scale e gli carezza la testa con tenerezza.
Tale bambino, con in mano il modellino di Boullée su Newton, torna nella sequenza finale, sulla quale scorrono i titoli di coda. E’ evidente, a questo punto, come il film sulla romanità nasconda, invece, un dramma umano coinvolgente: i monumenti dell’antica Roma, in primo luogo le cupole, non fanno altro che rappresentare, anch’esse, il delirio e l’incubo del protagonista, il quale pur nella sua malattia, anzi, in virtù di essa, è tutt’altro che un personaggio privo di spessore e di interesse, come molti vorrebbero.


di Mariella Cruciani
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