Storia privata di un “mito pop”. Il mio Godard.
Della categoria “intoccabili” ha fatto parte da sempre Jean-Luc Godard, il regista “rivoluzionario”della mitica Nouvelle Vague francese assunto a ”guru” del moderno cinema di ricerca.

Ci sono persone, periodi, miti che sembrano “intoccabili”. Della categoria “intoccabili” ha fatto parte da sempre Jean-Luc Godard (JLG per gli intimi), il regista “rivoluzionario”della mitica Nouvelle Vague francese assunto a ”guru” del moderno cinema di ricerca. Ultimamente il suo astro si è alquanto appannato, in verità; però appena si sparse la notizia che un regista, Michel Hazanavicius (l’autore del superpremiato The artist) osava fare “un film su JLG” i fan del regista svizzero-parigino si misero in grande agitazione. Solo uno del clan poteva osare tanto. Il fatto che il film di Hazanavicius sia stato selezionato per Cannes 2017 ha fatto crescere la tensione; si temeva uno scandalo planetario, ogni festival se ne crea uno.
«In realtà l’oriundo Michel H. non intendeva affatto “fare un film su Godard regista”, mirava solo a rievocare un breve periodo della vita privata dell’autore di Pierrot le fou».
In realtà l’oriundo Michel H. non intendeva affatto “fare un film su Godard regista”, mirava solo a rievocare un breve periodo della vita privata dell’autore di Pierrot le fou: il biennio 1967-68, allorquando, separatosi dall’affascinante-fragile Anna Karina, sua musa nei primi favolosi anni sessanta, Jean-Luc patron della Nouvelle Vague si innamorò di Anne Wiazemsky, la nipote dell’aulico scrittore gaullista François Mauriac, che aveva ammirato in una poetica favola moderna di Bresson (Au hasard Balthazar, 1966). Sull’esperienza di quei due anni con il guru JLG, Anne W. aveva scritto due libri autobiografici (Une année studieuse, Un an après); trovandoli per caso in una stazione parigina, Michel H. li aveva divorati e si era convinto che da quella originalissima storia d’amore alla vigilia del sessantotto si poteva ricavare un bel film. Sul momento scelse un titolo non proprio felice: Le Redoutable, “Il terribile”; quel titolo non riguardava ovviamente il protagonista JLG, come pensò qualcuno e se ne preoccupò, alludeva solo al nome del primo celebre sottomarino nucleare francese varato proprio in quel 1967; la curiosa battuta coniata in quell’occasione («così va la vita a bordo del Redoutable») divenne un’espressione corrente all’epoca, come a punteggiare comicamente la vicenda, il regista la introduce a volte nel film come un leit-motif.
Michel H. in Francia è ritenuto da alcuni «il prodotto di una certa insolenza stile Canal+» (Libération, 22 maggio 1917): non essendo il nostro oriundo un fan dell’imperatore della modernità (all’epoca Jean-Luc Godard era un dio) gli si poteva fare fiducia? La chiave comica, congeniale all’autore di The artist, li lasciava titubanti. (“Non toccare la donna bianca”, diceva il titolo di una commedia satirica del buon Marco Ferreri, citato peraltro in una scenetta di Le Redoutable, guarda un po’.) E così LeRedoutable verrà accolto con vivaci riserve e qualche stroncatura su vari giornali d’oltralpe. Con i pretesti più banali: Le Redoutable «è un pastiche», una contraffazione, non mostra mai Godard al lavoro su un set, banalizza il personaggio, dà una visione superficiale dell’uomo e del Sessantotto. “Libération” la definisce addirittura “un’operazione reazionaria”. «Bensì il mio non è un film sul regista Godard, ma sull’uomo Jean-Luc» si difende l’autore, «volevo solo raccontare la sua privata storia d’amore con Anne W., rievocando en passant il clima del Sessantotto, oggi un po’ dimenticato dal cinema.

Le Redoutable descrive minuziosamente la nascita, l’evoluzione e la dissoluzione di una relazione d’eccezione. «Nel mio film è Anne Wiazemsky che racconta la loro storia d’amore» spiega l’autore. «All’inizio la vediamo felice, distesa, sorridente; quando, a seguito del clamoroso fallimento commerciale di La cinese, il suo primo film politico, JLG entra in una crisi esistenziale e politica profonda (abbandona il cinema narrativo per la politica, sposa la causa della rivoluzione maoista). Il sorriso a poco a poco scompare dal suo volto. Alla febbrile ricerca di ideali, per amore della Rivoluzione teorizzata da Mao e per una specie di patologia masochista e autodistruttiva, Jean-Luc distrugge tutto intorno a lui: i suoi idoli, il suo ambiente, gli amici, il suo nome, il suo lavoro (rinnegando la sua opera precedente si ostina a voler fare solo più film di propaganda politica con il gruppo Dziga Vertov), e finisce per distruggere la sua stessa coppia, e se stesso…È significativo il fatto che, a differenza di quasi tutti i rivoluzionari del sessantotto francese, Jean-Luc non rinnegherà mai formalmente l’ideologia maoista. L’amore ossessivo per Mao e la Rivoluzione finì per sostituire tutti gli altri, troncando nettamente la sua carriera artistica. Testimone di quella deriva di tipo politico che lei non riesce a comprendere, Anne W. cerca di continuare ad amare il marito malgrado i suoi difetti, ma deve riconoscere di essere impotente davanti alla forza autodistruttiva del marito, e i due si separeranno. Anne W. torna a sorridere solo dopo che riuscirà in qualche modo ad emanciparsi. Mi è sembrato che questa storia fuori del comune fosse un ottimo soggetto per un film.»
La scelta, inevitabile per non cadere nel patetico, di trattare questa vicenda in chiave di commedia, deve aver urtato ulteriormente le sensibilità degli adepti del mito-Godard; i fanatici non hanno il senso dell’umorismo… Eppure, le numerose battute brillanti del loro guru che punteggiano il film sono tutte rigorosamente autentiche. «Forse non le capiva nemmeno lui quelle battute provocatorie ad effetto che mandavano in visibilio i suoi fan» mi mormora all’orecchio Michel H. Siamo seduti a un tavolo della mitica trattoria La Libera di Cannes vicino al vecchio Palais. «Lungi dall’essere quel pamphlet che alcuni temevano – mi confida il regista – nel film non c’è alcuna contestazione del mito del cineasta Innovatore che si scaglia va contro tutte le regole in nome della libertà totale. Le Redoutable, ripeto, si limita a raccontare la storia privata di un amore, rovinato purtroppo dall’ideologia. Al tempo stesso emergono delle osservazioni molto interessanti sull’uomo-Godard, diventato suo malgrado un “mito pop”. Non si può certo dire che Jean-Luc fosse un uomo gentile, o un grande pensatore politico. Intellettuale disinvolto, amante dei paradossi, provocatorio, distruttivo, è un personaggio fondamentalmente “tragico”, calvinista direi. Nel film mi sono limitato a citare un suo tentativo di suicidio, ce ne furono altri, per delusioni amorose. Jean-Luc era capace a volte di violenze inattese. Quando il sabato pagava la sua équipe, come un padrone di una volta faceva sfilare a uno a uno i collaboratori e, tendendo a ciascuno la sua busta, diceva freddamente: “Però non la meriti!” Non dimentichiamo che proveniva da una famiglia svizzera alto borghese, di formazione calvinista”.
“Jean-Luc era l’esatto opposto del tenero, solare Truffaut; dopo i primi tempi i due capirono che sul fondo non si potevano intendere. Con tutto ciò, debbo confessare che, dopo aver lavorato sul personaggio Jean-Luc per più di un anno, ora provo verso di lui una certa empatia. Lo stesso è accaduto a Louis Garrel, che interpreta il protagonista con un’umanità, una finezza che meritavano davvero un “premio d’interpretazione”». Secondo l’attore Louis Garrel – alle prese con il ruolo più arduo della sua carriera se l’è cavata in maniera ammirevole – «per parlare di Godard, Michel H. ha adottato l’atteggiamento migliore: distanza, e umorismo; evitando così i pericoli del film paludato, sentenzioso.»
Le riserve, di tipo ideologico, avanzate dai “turiferari” del godardismo non hanno scalfito il buonumore dell’autore. Sa di aver fatto un buon lavoro, e il pubblico gli ha dato ragione. Ci voleva del coraggio per affrontare un soggetto del genere, ma Hazanavicius ha scelto bene i suoi maestri: Lubitsch, Dino Risi, Scola. in effetti C’eravamo tanto amati potrebbe essere un titolo giusto per la distribuzione italiana di Le Redoutable. In Italia (complimenti, Valerio De Paolis) sarà un successo. Tra le sequenze più memorabili mi limito a citare le spettacolari riunioni oceaniche dei sessantottini, in una di esse JLG viene contestato e fa anche un clamorosa autocritica. La sequenza della separazione finale della coppia Anne-Jean Luc in una camera d’albergo è da antologia. In definitiva, come scrive Le Figaro «con il suo buonumore Le Redoutable ha rischiarato una Competizione fin troppo seriosa, i turiferari del godardismo non glielo hanno perdonato.»
di Aldo Tassone