Cannes 2012 – Haneke, Resnais, Mungiu, Garrone, e gli altri

In attesa dell’incontro del 6 giugno (ore 18.00 – Casa del Cinema – Roma) organizzato dal SNCCI, pubblichiamo alcune riflessioni sul Festival di Cannes 2012, tra racconto privato e analisi critica, di Aldo Tassone (Fiduciario Gruppo Regionale del Lazio del Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani).

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La  sera prima del (sorprendente) Palmarès ricevo un invito a cena di quelli irresistibili. Due amici di lunga data, Sabine Azéma  e Alain Resnais (interprete e regista di Vous n’avez encore rien vu, una versione moderna del mito di Orfeo ed Euridice) mi aspettano in un “hotel de charme” sulla collina di Mougins prospiciente Grasse, la città dei fiori e dei profumi. Un luogo paradisiaco messo a disposizione dei palmabili dalla direzione del festival, ideale per riposarsi dalle fatiche e attendere in una quiete francescana i risultati del Palmarès.

“A un altro tavolo del ristorante ci sarà il superfavorito per la Palma, herr Michael Haneke” mi previene Sabine. “Da quando gli hanno riferito che il Presidente della giuria, Nanni Moretti, non avrebbe eccessiva simpatia per lui, il regista di Amour è un pò irrequieto; stasera cena con l’agente, che è lo stesso del nostro produttore Jean-Louis Livi, parleranno di problemi organizzativi, date, cifre; se lo incrociamo sarebbe meglio evitare accenni al Palmarès e al Presidente della giuria!?”

Cenare, la vigilia del Palmarès di Cannes, con i due più agguerriti candidati ai massimi premi è un’esperienza unica; sarebbe  anche un’occasione d’oro per farci su un bel pezzo di colore, ma io sono qui per amicizia, fuori servizio, resisterò quindi alla tentazione di invitare i due palmabili all’allettante gioco dei pronostici.

“Ho accettato l’invito a rimanere un paio di giorni di più a Cannes – esordisce Alain  – per compiacere il mio produttore Livi che si batte come un leone  per vendere il nostro film nel mondo, e per consentire a Sabine di prendere fiato dopo le fatiche di Cannes; se dipendesse da me sarei volato subito a Parigi per occuparmi del copione del prossimo film. Alla mia venerabile età si pensa solo al futuro, ai film che potrei ancora fare, ben conscio del fatto che ognuno può essere l’ultimo. Non mi posso permettere di non lavorare, oltretutto ci sono le tasse da pagare!”

Il nuovo progetto sarà ispirato ancora a una “pièce” teatrale di un autore inglese moderno (Alan Ayckbourn) che Resnais predilige (ricordate il geniale Smoking-No smoking?). Partire da dei soggetti preesistenti – spiega Alain – è una scelta obbligata di tipo economico: si impiega meno tempo a scrivere la sceneggiatura, e poi girare in  studio costa molto meno.

Al tavolo d’angolo herr Haneke e consorte discutono animatamente con l’agente. Altissimo, ieratico, sguardo severo, barba folta, elegantissimo nel suo completo nero, il cineasta viennese adottato dai francesi mi fa pensare stranamente a Sacha Pitoëff,il  marito misterioso dell’affascinante Delphine Seyrig (L’anno scorso a Marienbad). C’è in effetti come un’atmosfera “marienbadesca” in questo prestigioso hotel “de charme” così silenzioso e aristocratico. Lo faccio notare ad Alain, la cosa sembra divertirlo: “Vuoi dire che siamo anche noi dei… fantasmi? Chissà che non lo siamo davvero… Anche il mio ultimo film è pieno di fantasmi” ”

Marienbad… “Curiosamente quel film (1961) doveva andare a Cannes – ricorda Alain -, ma all’ultimo venne rifiutato  con la strana scusa che uno dei due protagonisti (il vostro Giorgio Albertazzi ) non aveva una pronuncia perfetta, e questo disturbava i puristi della lingua francese; non poteva essere diversamente dato che Albertazzi  interpretava il ruolo di uno straniero che parla francese! E così Marienbad andò alla Mostra di Venezia, e per quel film fu una fortuna perché inaspettatamente vinse il leone d’oro, grazie agli italiani.  Con Cannes non ho mai avuto fortuna. Si direbbe che, al tipo di film introspettivi che faccio, le atmosfere velate della laguna veneziana a settembre giovino più del sole primaverile e del clima chiassoso della  Croisette”.

Non crede che il festival di Cannes Le dovrebbe un qualche risarcimento? Quest’anno potrebbe essere la volta buona. “Non mi faccio nessuna illusione” taglia netto il maestro bretone. “Non parliamo del passato, qualcosa che non esiste più, né di premi, semmai di progetti…Il miglior premio è poter continuare a lavorare”.

La luna sta per tramontare sulla magica conca di Grasse, con le sue mille luci vibranti nella notte la cittadina dei profumi sembra un presepe. Il tempo si è fermato, godiamoci fino in fondo questo momento di grazia irripetibile. Alain Resnais non è soltanto uno dei cineasti più dotati, audaci, intelligenti, raffinati…del mondo; è anche l’uomo più amabile, modesto, affettuoso. Vorrei che questa serata da sogno non finisse mai.

A un momento, non so come, ci troviamo a parlare di…Mario Monicelli.  È Alain stesso ad aver tirato in ballo il nome  del maestro viareggino e la cosa mi fa oltremodo piacere. Da esperto cinefilo, Alain vorrebbe tanto rivedere un vecchio film monicelliano introvabile in Francia, ma non ne ricorda il titolo…Proviamo  a indovinare: un film che si svolge nella Torino di inizio secolo, con Mastroianni nella parte di un… professore che organizza uno sciopero… Come è già che si intitola in italiano? Ah, ecco, I compagni ! Prometto che gliene troverò una copia, “in originale naturalmente!” Quella felice intrusione del fantasma dell’amico Monicelli mi fa tenerezza: tra cinque anni, penso, Alain avrà l’età di Mario quando morì in quel modo così scioccante.  A pensarci bene quella sua morte crudele sarebbe un soggetto ideale per herr Haneke….

Siamo a tavola da quasi tre ore, il tempo si è fermato,  nessuno vuole interrompere quella riunione così “apaisante”. Delle ombre si avvicinano furtivamente al nostro tavolo: Michael Haneke e signora vengono cortesemente a rendere un deferente omaggio agli illustri vicini. La presenza armoniosa della consorte ingentilisce la figura dell’ascetico, austero cineasta viennese, intransigente sul set ai limiti della crudeltà dirà il suo attore Jean-Louis Trintignant; quella soave figura femminile al suo fianco lo rende più umano, quasi simpatico. Stanno insieme “da più di trent’anni”, precisa il marito, e sono legati fino alla morte da patto segreto: quando giungerà l’ora si aiuteranno l’un l’altro a compiere… l’ultimo passo, come i due protagonisti di Amour.

“Esclusi i presenti, che cosa pensa un critico italiano di questa edizione del festival?” mi domanda a bruciapelo il visitatore   (Sabine mi ha presentato  come un cinefilo italiano, “vedrai che tirerà in ballo il discorso su Moretti!”). A differenza del patriarca bretone che si preoccupa solo del futuro, il cineasta viennese è più interessato all’attualità: che voglia sondare i gusti di un concittadino del Presidente della giuria è comprensibile, e io non mi tirerò certo indietro.

“Esclusi i presenti – rispondo con molta franchezza – non si può dire che questa sia stata una buona annata, anzi è una delle peggiori degli ultimi tempi”. Gli ricordo che ieri sera (alla  tavola di un noto ristorante italiano di Cannes, “La Libera”, nome squisito, ottima cucina) con degli amici francesi ci siamo divertiti a stilare una lista dei film “insalvabili” del Concorso, e abbiamo constatato che quelli da “buttare giù dalla torre” erano probabilmente più di un quarto dellaselezione! Colpa della stagione, non certo dei selezionatori; se però questo  è il livello medio del cinema mondiale di oggi c’è poco da stare allegri…Il guaio, concludo, è che a deludere sono stati anche certi cineasti di chiara fama, come ad esempio David Cronenberg (Cosmopolis: molte parole per nulla!) ), Walter Salles (On the road, pessimo servizio all’autore del libro), Abbas Kiarostami… Per non parlare degli americani, dei coreani…

A sentire l’ultimo nome, herr Haneke ha un gesto come  di disappunto. “Kiarostami è  un mio amico” mormora. “A volte non siete un pò troppo severi voi critici?” Sento di aver toccato un nervo scoperto,  ma non mi va di battere in ritirata. Rispondendo alla sua con un’altra domanda chiedo: amicizia a parte, cosa trova Lei oggi di vitale e poetico (a parte i paesaggi) nel cinema di Kiarostami? Da quasi un decennio il regista iraniano esiliato in occidente, invece di cercare di imitare il grande Andrei  Tarkovski, dà l’impressione di fare il turista e vivere di rendita, al punto che vien da dubitare persino della sua buona fede… E questo mi sembra un controsenso per un discepolo dichiarato di Rossellini! (Dall’alto dei suoi novant’anni portati da dio, Alain ci guarda in silenzio, sul volto un sorriso leonardesco.)

Chiudo la mia troppo infocata filippica con una battuta quasi surreale: “I discepoli troppo modesti dei grandissimi Maestri non mi piacciono… Lei per esempio,  e il qui presente Alain Resnais,  grazie a dio non siete discepoli di nessuno, per vostra e nostra fortuna!” Il mio curioso riferimento ai “Maestri” non dispiace al mio interlocutore: ”Anch’io ho i miei maestri segreti” si schermisce con un sorrisino vezzoso. “Però me li tengo per me… A voi critici il piacevole compito di scoprirli”. Questa scherzosa replica di Haneke mi incanta. Che bell’inizio di film, direbbe Michelangelo Antonioni. Eccoci partiti per una di quelle discussioni ghiotte che piacciono tanto ai cinefili. Non è necessario essere profeti per capire che la stella polare di herr Haneke deve essere un certo Luis Buñuel, un Maestro “immenso” che piace molto anche a Resnais… Ma questa visita inattesa del cineasta viennese (e signora) al maestro bretone (e musa) rischia di protrarsi troppo. Fermiamoci qui.

(Perché nel dossier de presse di Amour, invece delle previste, preziosissime interviste con l’autore e gli interpreti del film, c’è solo una nuda filmografia, con un elenco minuziosissimo e un po’ terroristico di tutti i premi anche minori attribuiti alle singole opere? Mi sarebbe oltremodo piaciuto sentire il parere del regista sulle ragioni di questa captatio benevolentiae, ma sento che date le circostanze sarebbe indelicato chiederglielo. Di fatto quella mossa astuta si è rivelata vincente: in mancanza di “chiavi di lettura” fornite dall’autore, per seguire la proiezione del film i critici si sono dovuti impegnare allo spasimo, e fu subito  una cascata di stelle.)

“Bonne chance à tous le deux” è il mio augurio di mezzanotte ai due Maestri prima di lasciare il magico hotel “marienbadesco” di Mougins,  dal  nome misterioso: “le Mas de Chanille”. Quell’utopico  “buona fortuna ad ambedue!” è un augurio molto sincero e appassionato. Mentre rientro in taxi sulla Croisette penso che sarebbe davvero formidabile rivedere i due Maestri fianco a fianco sul podio. Magari – perché no – a spartirsi equamente la palma d’oro (è accaduto nel 1980 con KagemushaAll that jazz, e Kurosawa non se l’è avuta a male). In caso diciamo di parità, un premio ex aequo è sempre comunque meglio di un oblio imperdonabile, che lascerebbe degli strascichi dolorosi per il concorrente sacrificato e  per la storia del festival stesso.

Tanto più trattandosi – come nel nostro caso – di due film quasi speculari: Amour, Vous n’avez encore rien vu (“Non avete ancora visto niente”, un titolo da leggersi in chiave scherzosa) raccontano in fondo una storia di amore e morte. L’amore più forte della vecchiaia e della morte (Haneke) : per evitare il melò, il regista sceglie la via del quadro clinico. L’amore che va “oltre” la morte stessa (Resnais) : nella sua sottile, audace rivisitazione moderna del mito di Orfeo ed Euridice, l’estroso regista bretone  arriva financo a prendersi gioco della morte con allegra insolenza.

La giuria sceglierà il film di Haneke, solido e lineare, ma anche meno originale;  nulla vietava però di segnalare con un premio ad hoc anche lo straordinario lavoro del regista bretone e della sua équipe; lasciarli ripartire da Cannes senza nemmeno una menzione  non è  incomprensibile? L’ingegner Haneke avrebbe potuto rimediare alla “gaffe”: nel ricevere la Palma bastava che mandasse un simpatico saluto al collega tanto più illustre di lui; quel gesto Alain Resnais l’avrebbe fatto di sicuro.

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II quasi-capolavoro del presidente Moretti – A parte un paio di distrazioni alquanto bizzarre (come il delirante premio – per la miglior regia!? – al campione mondiale messicano di fumismo Carlos  Reygadas), il Palmarès 2012 rispetta sostanzialmente i reali valori in campo. Si potrebbe dire che Il presidente Moretti è riuscito a compiere un (quasi) capolavoro di diplomazia.

Amour era realmente uno dei film migliori del concorso; geniale l’idea di invitare sul palco accanto all’autore i due squisiti interpreti Jean-Louis Trintignant ed Emmanuelle Riva, da troppo tempo inesplicabilmente lontani dal set, associandoli in qualche modo al premio. (Dettaglio curioso: Emmanuelle Riva si era imposta a Cannes cinquant’anni fa con un capolavoro firmato da un debuttante chiamato Alain Resnais, un film che parlava già di amore e morte:  Hiroshima mon amour! Scegliendo come interprete la rivelazione di quel film mitico  Heineke se ne deve essere ricordato eccome!  Insomma, la sera del Palmarès il fantasma di A.R. planava nell’aria.)

La Palma d’oro ad un film di produzione e lingua francese non poteva soddisfare del tutto le aspettative dei  nostri voraci cugini d’oltralpe, e stavolta non si poteva dar loro torto: la selezione francese (Resnais, Audiard, Carax, senza dimenticare il toccante film testamento del compianto Claude Miller, Thérèse Desqueyroux) si è rivelata la migliore. La critica francese ha giustamente salutato come un evento il ritorno di Léos Carax dopo anni di silenzio: ha peccato di sciovinismo comparando Holy motors alla grande tradizione del cinema fantastico-creativo di Jean Vigo e Georges Franju, però  il film di Carax benché discontinuo e troppo autoreferenziale meritava il “Premio della regia”  ben  più dell’inqualificabile Reygadas.

Scontentando visceralmente gli americani (dei sei films presentati, solo Moonrise Kingdom di Wes Anderson e Mud di Jeff Nichols meritavano davvero il concorso) e i coreani (obnubilati dalla frenetica ricerca del nuovo, non li avremmo esaltati un pò troppo in passato questi signori d’oriente?), la giuria morettiana ha fatto bene  concentrarsi prevalentemente su cineasti europei:  Ken Loach (The angel’s share mescola felicemente impegno sociale e comicità), il rumeno Cristian Mungiu (Oltre le colline); avrebbe meritato una bella segnalazione anche l’ucraino Sergei Losnitza per il suo  sorprendente  antifilm di guerra (Nella bruma).

Al violento pamphlet antioscurantista di Cristian Mungiu – provoca un malessere addirittura fisico –  sono andati ben due premi: alla sceneggiatura, e alle due interpreti (un pò evanescenti come attrici in realtà) segno che al Presidente  Moretti deve essere piaciuto molto. Stranamente la giuria non si è accorta che l’insistenza sistematica su dettagli naturalistici di una crudezza insopportabile appesantisce il discorso del regista compromettendo il risultato finale. Paradossalmente Oltre le colline andrebbe proiettato nelle scuole di cinema  per evidenziare i limiti del Naturalismo estremo.

Il capolavoro diplomatico del presidente Nanni Moretti è sicuramente l’assegnazione sorprendente del “Grand prix du jury” (il massimo dopo la Palma) all’italico Reality di Matteo Garrone. L’Italia doveva pur tornare a casa con qualcosa, però… per rispettare i valori in campo sarebbe stato preferibile – bando allo sciovinismo che tanto critichiamo nei francesi! – dargli un premio minore. In effetti,  accolta tiepidamente dalla stampa internazionale, la satira garroniana  dei demenziali serial televisivi alla “Grande Fratello” dopo una splendida prima parte finisce per rivelarsi troppo fragile: è come se l’ombra del profetico capolavoro antitelevisivo felliniano Ginger e Fred avesse  intimidito il bravissimo regista di Gomorra.

Perché la maggior parte dei premi è andata quest’anno a dei nomi già conosciuti, si domandavano molti giornalisti; un festival come quello di Cannes dovrebbe incoraggiare soprattutto i “nuovi” autori! Ma smettiamola con la retorica “nouvelvaguiste”: dove sarebbero questi invocatissimi nuovi autori? Dal vasto panorama offerto da Cannes 2012 non ne sono emersi, si direbbe.

Qualche luce di speranza si è intravista come sempre nelle sezioni laterali: “Un certain regard”, e soprattutto “La Quinzaine des réalisateurs”. Le scelte del nuovo direttore della “Quinzaine”,  Edouard Waintrop, prestigioso critico indipendente (ex collaboratore di Libération),  si sono rivelate vincenti.

Tra le sorprese più felici, Enfance clandestine dell’argentino Benjamin Avila. Une famille respectable dell’iraniano Massoud  Bakhshi. No pasaran di Pablo Larrain, ultima parte di una trilogia politica sulla storia del Cile. Tra tanti film impegnati non mancavano nemmeno le commedie: Camille redouble di Noémie Lvovsky (Premio Sacd) è un’indiavolata fantasia su una quarantenne che si vendica in maniera originale tornando a rivivere – nei panni di oggi! –  il suo primo amore di sedicenne; regia frizzante, splendida l’interpretazione dell’autrice nel ruolo di Camille, una commedia perfetta per i nostri distributori (che sembrano arricciare il naso di fronte a capolavori raffinati come l’ultimo Resnais). A proposito di commedie, non va dimenticato il delizioso noir Adieu Berthe degli estroversi fratelli  versagliesi Denis e Bruno Podalydes (li ritroviamo ambedue in ruoli diversi – attore e regista del film nel film  – nell’ultima opera di Resnais).

La battuta più memorabile del festival 2012? Forse quella di Prévert citata da Trintignant la sera del Palmarès: “E se cercassimo di essere felici, se non altro per dare l’esempio”.


di Aldo Tassone
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