Ricordo di Gianni Olla
Il socio SNCCI Gianni Olla ci ha lasciati il 20 aprile a 71 anni. Per anni critico della “Nuova Sardegna”, Olla è stato anche docente di Storia e critica del cinema alle Università di Cagliari e Sassari, autore di numerosi saggi e volumi sul cinema.
Anche se negli ultimi giorni la mente iniziava ad essere sciacquata dalla malattia, Gianni Olla aveva accettato la proposta di rivedere insieme uno dei tanti suoi amati western che erano stati la spina dorsale della sua formazione di critico cinematografico – nonché infatuazione giovanile – ribadita nel gustoso aneddoto in testa alla recensione di Vera Cruz, scelto come film della vita, pubblicata nel libro Passioni critiche del nostro sindacato. Purtroppo Gianni ci ha lasciati senza ritornare bambino per un’ora e mezzo, fra cowboy e indiani, pistolettate e frecce, sceriffi e banditi come avrebbe voluto, complice un western qualunque, pur se non firmato dall’adorato John Ford.
Nel rileggere adesso quel pezzo, si ritrova la sua statura di critico attento e rigoroso, che – onorato il piacere del cinema – fornisce al lettore le chiavi di interpretazione, in poche righe inquadra l’analisi della struttura, la spiegazione di alcune sequenze e soprattutto il contesto storico, che riteneva sempre fondamentale per giudicare un film. Come molti della sua generazione, Gianni aveva avuto una formazione da autodidatta, che voleva dire la frequentazione (quasi quotidiana) delle sale e dei festival e soprattutto la documentazione, lo studio sui libri (non solo di cinema) e la partecipazione alle attività didattiche della Cineteca Sarda, di cui negli anni è stato un prezioso alleato, anima culturale e propositiva.
Una carriera costruita con passione e dedizione, a cui alla fine andava stretto il ruolo di critico esercitato per anni dalle pagine del quotidiano La Nuova Sardegna e allargato a collaborazioni con riviste nazionali e siti specializzati: perché Gianni è stato uno studioso profondo, ha usato il cinema come strumento per capire e sezionare ogni strato sociale, culturale e politico, consegnando poi il suo sapere agli studenti quando diventò docente a contratto per i corsi di Storia del cinema all’Università di Cagliari e Sassari.
Gran parte del suo impegno è stato dedicato alla sistemazione critica del cinema sardo, con centinaia di recensioni e articoli, con approfondimenti tematici diventati libri (su Grazia Deledda, Franco Solinas, Fiorenzo Serra, Giuseppe Dessì) fino al volumone Dai Lumière a Sonetàula, un intelligente ibrido tra saggio, catalogo, indagine, che compendia oltre un secolo di film, documentari, fiction e inchieste televisive sulla Sardegna, imprescindibile punto di riferimento per chi vuole addentrarsi nella materia.
Talvolta brusco di carattere, poco incline alle amicizie con i registi per mantenere lucidità e libertà di giudizio, è stato comunque un generoso, instancabile operatore culturale e organizzatore di rassegne per associazioni e cineforum, dove non si negava a presentazioni, incontri e dibattiti; sin dagli inizi si è occupato di studiare registi e correnti cinematografiche (da Kurosawa alle avanguardie, da Anghelopoulos all’espressionismo), focalizzando nei libri (per esempio A morte i padri, dedicato al cinema negli anni della contestazione) gli argomenti che considerava utili per connettere i film al tessuto culturale e antropologico italiano, mentre la sua ultima strada – avviata col volume Alla ricerca del cinema proustiano – incrociava i rapporti fra cinema e letteratura. Oltre alle riflessioni su cinema e Olocausto in un libro che uscirà postumo.
Ho condiviso con Gianni oltre 40 anni di amicizia e carriera professionale, lui critico della Nuova Sardegna, io dell’Unione Sarda, senza mai farci la guerra, in anni in cui dare il “buco” alla concorrenza era giornalisticamente un obbligo; in fondo siamo stati come dei sodali compagni di scuola, il nostro banco erano le sedie del cinema dove ci trovavamo accanto al primo spettacolo per i nuovi film; eppoi le trasferte verso i festival (le nostre estati iniziavano a giugno a Pesaro, passavano per Bellaria, quindi Venezia e si chiudevano in autunno a Torino), insieme in camere d’albergo o stanze in affitto per risparmiare sui costi; e naturalmente le lunghe chiacchierate sui film appena visti, in cui Gianni aveva sempre un punto di vista acuto e non omologato al pensiero comune.
«Certo, c’è il cinema ma soprattutto c’è la vita». Gli capitava, ogni tanto, di soffiare questa frase in mezzo ad un accanito dibattito post proiezione: era un modo per prendere le distanze dal cinefilo ossessivo e monocorde (figura che non amava affatto) e guardare oltre lo schermo. Intimamente sentiva che la sua condizione endemica di talassemico pesava come una spada di Damocle ma non l’aveva mai sbandierata, anzi giustamente occultata.
Forse sapere che per lui ogni anno vissuto era un anno guadagnato gli aveva dato la carica per lanciarsi in una feconda produzione critica e saggistica che resta in eredità a chi vorrà cibarsene. Agli altri, in particolare ai suoi “amici di celluloide”, resta invece il dono impagabile della sua amicizia.
di Sergio Naitza