Mad Fate
Francesco Grieco recensisce il film di Soi Cheang, dal Far East Film Festival.
Non deluderà i fan del cinema di Hong Kong più coinvolgente e “flamboyant” il nuovo film di Soi Cheang (l’autore di Limbo), con il leggendario Johnnie To che figura tra i produttori. Chi cerca verosimiglianza e realismo duro e puro si astenga pure dalla visione, anche perché con il trascorrere dei minuti allo spettatore è richiesto un atteggiamento ancora più giocoso, una disposizione d’animo leggera e ludica che fa tutt’uno con quel patto segreto di non belligeranza instaurato da ogni regista manierista, sin da quando si iniziava a parlare di postmoderno nella settima arte.
I colpi di scena si susseguono senza soluzione di continuità, la sceneggiatura è complessa, i personaggi affascinanti, nel loro comportamento aggressivo, e la follia che li accomuna è perfettamente funzionale a quell’oscillazione tra violenza e comicità a cui il pubblico orientalofilo del Far East Film Festival è abituato. Chi sta al gioco, appunto, rimane incollato per quasi due ore a seguire le peripezie, raccontate con bizzarro black humour, di un trio memorabile di “spostati”: due psicopatici da manuale – di cui uno è un serial killer in attività, mai catturato, e l’altro un giovane problematico che per hobby ammazza i gatti randagi – e un indovino esagitato, maestro di Feng shui, assuefatto via via sempre più pure lui al gusto del sangue.
La sobrietà non è di casa in Mad Fate, il colore delle ferite non è quello che si studia sui libri di medicina; si può entrare indisturbati in un obitorio e rimanerci tutto il tempo necessario per praticare strani rituali apotropaici. I colori della fotografia in CinemaScope e le inquadrature possono risultare estetizzanti, ma è ovviamente questione di gusti. Non si può negare che un film di genere esplicitamente formalista sia qualcosa di così difficile da realizzare ad alti livelli che riesce soltanto a un cinema dalla grande tradizione di intrattenimento intelligente, com’è quello hongkonghese. E se i decenni d’oro del cinema di Hong Kong sembrano ormai lontani, ben vengano registi come Soi Cheang, capaci di proseguire sulla scia dei maestri del passato.