Cannes 2019 – Una presentazione

Il Festival di Cannes 2019 si apre con l'oramai canonica querelle sugli orari delle proiezioni stampa, a detta di molti limitanti rispetto alle necessità della carta stampata. Ma al di là di questo quale dovrebbe essere il ruolo di un evento così centrale nel corso dell'anno? Ed esiste un modo "giusto" in cui la critica dovrebbe approcciarvisi?

Cannes 2019 - Una presentazione

Cannes 2019 non è ancora iniziato – l’apertura, tra poche ore, la si avrà con le immagini di The Dead don’t Die, nuovo parto creativo di Jim Jarmusch – ma già trascina con sé un nugolo di polemiche, preoccupazioni, entusiasmi preordinati e ancor più prevedibili bocciature preventive.

La querelle principale, che si propaga come eco fin dalla scorsa edizione, riguarda orari e collocazioni delle proiezioni stampa che, per evitare il dileggio tramite social network (questa pare essere la versione ufficiale del festival) e non far venire paturnie alle delegazioni dei film, non sono più anticipate. In pratica la stampa vede i film in contemporanea – su per giù – con la proiezione ufficiale, impedendo dunque il propagarsi di eventuali spernacchiamenti pubblici. Il problema è che così facendo chi lavora per la carta stampata si trova a uscire dalla proiezione in prossimità della chiusura del lavoro redazionale, e inoltre con l’articolo eventuale sul film che arriva “staccato” dal resoconto della conferenza stampa, che si svolge il giorno successivo.

Dettagli tecnici, forse, ma che indicano una direzione netta. La Cannes di Pierre Lescure guarda al futuro, o a quello che suppone essere il futuro. E in quel futuro ci può essere spazio per una cerimonia d’apertura e chiusura che guarda allo spettacolo più che alla sostanza, ma la riflessione critica non si muove certo nelle parti alte della piramide. Non si tratta di elevare mugugni corporativisti – endemico problema della classe giornalistica – ma di provare a ragionare sul posizionamento di un evento culturale quale il Festival di Cannes, e sulla risposta che si può mettere in atto. Una volta di più, non per creare barricate ma per dare vita a quello spirito dialettico che sembra essere stato sepolto sotto la polvere del Tempo.

Qual è dunque il modo in cui la critica, sia essa dei quotidiani o del web, delle radio o delle televisioni, si deve approcciare a una macchina megalitica come Cannes? Magari rinunciando per una volta a perdersi dietro l’attore di turno o il regista del momento, per cercare di comprendere il motivo intimo per cui un comitato di selezione ha scelto di inserire un titolo lasciandone fuori un altro.

Ovvio che leggere i nomi di Quentin Tarantino, Abdellatif Kechiche, Elia Suleiman e Marco Bellocchio spinga verso l’esaltazione, ed è probabile che le aspettative troveranno soddisfazione anche dopo la visione dei singoli film. Ma è interessante per esempio annotare quale cinema francese sia stato accolto nel concorso: accanto a Kechiche, che tenterà l’impresa di portarsi a casa la seconda Palma d’Oro dopo quella per La vita d’Adèle, c’è infatti un autore conclamato come Arnaud Desplechin (Roubaix, une lumière) ma anche leve nuove e nuovissime. Per Céline Sciamma si tratta forse della consacrazione definitiva, ma Ladj Ly, Justine Triet e Mati Diop stanno lì a testimoniare la voglia di un rinnovamento dello sguardo sul e del cinema transalpino.

Per il resto è facile intuire come un gigante di tal fatta qual è Cannes non possa e non voglia permettersi reali rivoluzioni, prediligendo il movimento gattopardesco. Ma forse si può cercare rivoli d’aria e d’ossigeno uscendo dal Palais e muovendosi verso la sala del Marriott, dove è per tradizione collocata la Quinzaine des réalisateurs. Quest’anno a dirigerla è arrivato Paolo Moretti, già direttore del Festival international du film de La Roche-sur-Yon e al lavoro tra gli altri con Marco Müller per Orizzonti a Venezia e CinemaXXI a Roma: e sottopelle si muove l’idea di uno spazio ancora più espanso, come testimonia per esempio la presenza della nuova opera del collettivo Flatform, uno dei pochi lavori italiani presenti al festival (oltre a Bellocchio, in concorso, c’è da segnalare in Un certain regard la presenza de La famosa invasione degli orsi in Sicilia, che l’illustratore Lorenzo Mattotti ha tratto dal racconto di Dino Buzzati e, di nuovo alla Quinzaine, un cortometraggio di Luca Guadagnino).

Ma la politica di un festival è anche riscontrabile in ciò che qui sulla Croisette non ci sarà, a partire dalle piattaforme per la visione che tanto ruolo stanno avendo nell’immaginario collettivo contemporaneo ma sulle quali ancora non si è stati in grado di ragionare in modo teorico, oltre che strettamente pratico. Nel lasciar fuori lo schermo “adattabile” per prediligere sempre e solo lo schermo cinematografico – e le sue forme, come dimostrano le proiezioni di Tarantino e Dolan, entrambe in 35 millimetri – Cannes opera una scelta che ad alcuni potrà sembrare di classe, ma che in realtà potrebbe anche sottintendere la necessità di una resistenza contro l’odierno, la sua velocità. Ecco, riscoprire il Tempo e la Dialettica potrebbe essere un punto di ri-partenza per la critica, e per l’interpretazione dell’attuale attraverso le immagini, sempre più confuse e indecifrabili, ma proprio per questo in potenza ancor più deflagranti. Ma tanto ora inizierà il festival, e ci si perderà dietro le stucchevoli battaglie a colpi di like tra idolatri e avversatori di professione. Purtroppo.


di Raffaele Meale
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