Dilili a Parigi

Dilili a Parigi segna il ritorno alla regia di Michel Ocelot, tra i principali maestri dell'animazione francese contemporanea.

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Dilili a Parigi segna il ritorno alla regia di Michel Ocelot, tra i principali maestri dell’animazione francese.

Definire Michel Ocelot semplicemente regista o animatore dimostrerebbe che non si è capito nulla del suo modo di intendere il cinema. Artista a tutto tondo, cura le sue opere con maniacale attenzione occupandosi di gran parte della sua realizzazione, questo per essere sicuro che il risultato finale sia davvero frutto della sua creatività.
In Dilili a Parigi si è occupato della regia, sceneggiatura, del perfetto storyboard, della ideazione dei modelli, delle immagini che sono servite quale fondale per molte ricostruzioni di una Parigi tanto bella quanto magicamente in grado di contenere il Male ed il Bene facendoli coesistere in maniera armoniosa. Dopo avere raccontato nei suoi precedenti lavori parti del mondo lontane e misteriose e non occupandosi mai della Francia, Ocelot omaggia la sua città di adozione e la racconta durante la Belle Epoque, un periodo in cui l’Arte, la cultura, l’allegria e importanti personaggi la animavano.
La fa vivere attraverso gli occhi e le esperienze di una ragazzina canaca (abitanti melanesiani della Nuova Caledonia) salita come clandestina su di un transatlantico che viaggia verso la Francia: qui incontra la scrittrice ed insegnante anarchica Louise Michel, deportata in quel paese, che aveva continuato il suo lavoro come maestra per i piccoli abitanti del luogo studiando e rispettando la loro cultura, nello stesso tempo insegnando loro il francese.
Giunta nella Capitale, si trova a lavorare in uno dei villaggi indigeni ricreati nei parchi ad uso del gusto del differente che era diretto parente del razzismo. Ocelot ha voluto ancora più sottolineare questa caratteristica esotica raffigurando Dilili quale mulatta, quel misto di razze spesso bistrattato sia dalle persone bianche che da quelle di colore.

Pur essendo tutto bello, emozionante soprattutto nella ricostruzione di un mondo di cui tanto si parla ma di cui in pochi conoscono la vera storia, non sempre il film funziona. La eccessiva meticolosità nella ricerca della perfezione a tratti annebbia l’interesse e rende ogni cosa più didattica che cinematograficamente interessante. Cita, e spesso fa vedere attraverso disegni da lui creati, oltre un centinaio di personaggi fondamentali per conosce meglio la Belle Epoque. Quindi incontriamo e sentiamo tra gli altri Picasso, Suzanne Valadon, Henri Rousseau, Matisse, Brancusi, Monet, Renoir, Toulouse-Lautrec, Debussy, Satie, Hahn, Sarah Bernhardt, Eiffel, Zeppelin ma, soprattutto, Madame Curie e la cantante lirica Emma Calvé. Più che approfondire le loro figure (impossibile in poco più di 90 minuti) riduce le loro presenze in brevissime citazioni usando alle volte solo una frase per identificarli meglio. L’impressione è che Ocelot non abbia avuto il coraggio di rinunciare a personaggi tanto interessanti ma che, nello stesso tempo, non sia stato in grado di dare a loro la giusta visibilità. Nella ricostruzione della Parigi soprattutto sotterranea si è sicuramente ispirato al mondo di Jules Verne e alle sue macchine geniali con paratie che si aprono quasi per magia, oscurità ricca di emozioni, trovate scenografiche di sicuro effetto. Non ha nemmeno rinunciato ad omaggiare la barca a forma di cigno che Ludovico II di Baviera fece costruire per navigare nelle acque della grotta artificiale del suo castello. Qui è guidata dal giovane amico della protagonista nei meandri delle fogne parigine.

Con l’utilizzo del 3D per donare ad alcune scene maggiore profondità, rende il film esteticamente affascinante, facendo dimenticare che ogni cosa è finzione. Un momento da brividi è quando si vede Notre Dame nella sua completa bellezza, non ancora ferita dal devastante incendio; si prova la stessa emozione legata a vari film usciti dopo l’undici settembre 2001 in cui si vedevano le Torri Gemellle a New York. Una citazione a Midnight in Paris (2011) di Woody Allen si ha nella maniera in cui Dilili incontra personaggi importanti della scienza, della pittura, della politica (il Principe di Galles), dello spettacolo. A volte sfugge il nome di chi conosce in quel momento, proprio per la quantità eccessiva di persone citate, ma tutto sommato non è indispensabile per bene fruire il film.
Conquista i nuovi amici col suo modo gentile ed ossequioso di presentarsi: ha le caratteristiche perfette per essere un’eroina positiva e simpatica, è la ragazzina che tutti vorrebbero come figlia o nipote. L’anima del film è femminista e questo lo si sente in molte scene, compreso quando la ragazzina fa i complimenti ad Auguste Rodin per una statua e lui le dice che l’opera era di Camille Claudel. I personaggi maschili, dal giovane amico della ragazzina a un ex cattivo che li aiuta, possono essere simpatici e positivi, ma chi coordina tutto sono donne, da Madame Curie ad Emma Calvé. Capiscono le situazioni, le sanno gestire, sono fondamentali per la soluzione di ogni problema.
I Maestri del Male che rapiscono le bambine (ma avevano iniziato segregando donne) lo fanno per cercare di limitare il potere femminile, con il loro capo che si dimostra preoccupato perché ormai sono divenute studentesse universitarie, avvocati, ricercatrici, elementi troppo importanti per chi crede ancora ad un potere maschilista. Le teme e, per questo, tenta di cambiare ogni cosa ‘educando’ le piccole rapite ad essere succubi che camminano a quattro zampe e che, quando serve, divengono sedili per gli uomini.

Dilili assomiglia molto a Kirikù – protagonista di tre suoi film – ma ci sono anche molti riferimenti ad Azur e Asmar (2006): tutti i suoi personaggi sono positivi, vivono sperando in un futuro migliore e combattono perché questo possa accadere. Il fascino del film è in gran parte legato alla splendida resa pittorica della Belle Epoque parigina, immagini che incantano davvero. A questa si contrappone la semplicità del segno grafico dei personaggi, disegnati da Ocelot in maniera quasi piatta, che proprio per questo contrasto ottengono una visibilità assoluta: una tecnica di animazione tradizionale, in 2D che volutamente non si mescola con la sontuosità del 3D degli sfondi, degli oggetti preziosi, delle carrozze. Dilili è bella per la sua semplicità, è forte per la sua onestà, è un’eroina per come affronta i rapimenti di sue coetanee, è indispensabile quando da rapita aiuta i suoi amici a liberare le altre ragazzine e lei stessa. Ocelot porta avanti un discorso antirazzista con chiarezza e con poche parole dice moltissimo: dopo la frase detta dall’eroina, “In Nuova Caledonia mi sentivo troppo chiara, qua mi sento troppo scura, le persone mi guardano come se fossi strana” Orel risponde che lui a queste cose non ci fa caso. Pronta la sua risposta che mette in evidenza un messaggio sereno e chiaro sulle uguaglianze tra le persone, indipendentemente dalla razza.


di Furio Fossati
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