Una figlia

La recensione di Una figlia, di Ivano De Matteo, a cura di Francesco Di Pace.

Bisogna riconoscere ad Ivano De Matteo di avere da sempre esplorato il tema ”adolescenza” come un filo rosso che lega un po’ tutta la sua filmografia: in particolare sono proprio i rapporti fra il mondo genitoriale e i ragazzi ad interessarlo maggiormente, come evidente soprattutto ne I nostri ragazzi, che era del 2014, incentrato sul dilemma morale di due fratelli genitori che scoprivano che i propri figli si erano macchiati di un gesto violento inaccettabile; o nell’ultimo Mia, in cui Edoardo Leo si faceva carico di vendicare la figlia vittima di un rapporto “tossico”.

Quindi non ci stupisce che anche questo Una figlia, liberamente ispirato al libro “Qualunque cosa accada” di Ciro Noja e sceneggiato dallo stesso regista con Valentina Ferlan, si inserisca nell’intenso dibattito di questi giorni sulla bellissima miniserie britannica Adolescence, fornendo un ulteriore tassello a quel ritratto di una medio-borghesia alle prese con drammi familiari, che sembra essere il tratto distintivo del cinema del 59enne regista romano.

Qui abbiamo Sofia (un’intensa Ginevra Francesconi), che vive col padre Pietro (un misurato Stefano Accorsi), in una prolungata e inquieta elaborazione di un lutto avvenuto cinque anni prima, la perdita della madre per malattia. Solo che il padre si è rifidanzato e Sofia non sopporta Chiara, anche perché lei era proprio l’infermiera che aveva assistito la madre fino all’ultimo giorno (la interpreta Thony).

Così, nel corso di un futile litigio fra Sofia e Chiara, la ragazza prende un coltello da cucina e in un impeto di rabbia…la uccide.

Non mi accusate di spoilerare, l’accaduto è proprio a inizio film: che da qui in poi diventa, se vogliamo, un “carcerario” vero e proprio, nel senso che inizia a seguire il calvario inevitabile di una minore giudicata da subito colpevole (anche perchè lei ha confessato), sorvolando sul dibattimento giudiziario, ma seguendola dal carcere minorile fino alla Comunità che dovrebbe e potrebbe riportarla in breve tempo a una vita normale, espiata la sua pena.

Ma anche qui è il dramma del padre, il suo profondo dilemma, ad interessare il regista: Pietro è infatti inizialmente deciso a cancellare la figlia dalla sua vita, ritenendola responsabile non solo della fine della vita di Chiara, ma anche del bambino che la donna aveva in grembo. Poi pian piano si apre a una tenerezza anche un po’ egoistica quando scopre che anche Sofia è incinta e da lì cerca di pianificare un reinserimento affrettato della figlia, anche per il desiderio di fare lui, da padre, al sostituto del suo figlio “mancato”. Ma a Sofia il carcere l’ha fatta crescere, e saprà ricondurre le cose verso una necessaria autodeterminazione del proprio destino.

Il film riesce ad essere intenso e coinvolgente, pur dovendogli perdonare alcune schematicità: si pensi ai poliziotti tutti bastardi come le guardie carcerarie, mentre gli educatori e assistenti sociali, così come l’avvocato Michela Cescon, sono degli angeli salvatori; che fine fa poi il fidanzatino della ragazza, anche in rapporto alla decisione da prendere sulla gravidanza? Ma, come in tutto il cinema di De Matteo, si riscontra una sincerità e un rigore non comuni, che sono un po’ la cifra di un autore forse non del tutto considerato come meriterebbe e una capacità di sapersi muovere in una dimensione di realismo in ambienti che il regista conosce e ritrae in maniera credibile.

Senza contare una certa disposizione a saper dirigere attori giovani, come la Ginevra Francesconi di questo film, qui alle prese con una decisa prova di maturità dopo tanti ruoli in film minori e in serie televisive.


di Francesco Di Pace
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