Ritrovarsi a Tokyo

La recensione di Ritrovarsi a Tokyo, di Guillaume Senez, a cura di Emanuele Di Nicola.

Ritrovarsi a Tokyo offre uno sguardo occidentale sul Giappone radicalmente antiretorico, lontano sia dall’entusiasmo scomposto per la società nipponica sia dallo straniero sperduto nel paese inospitale. “Non sono mai stato affascinato dal Giappone – racconta il regista Guillaume Senez -. Ci sono andato con Romain Duris per la promozione del mio film precedente. Alcuni immigrati ci hanno raccontato per caso le storie di genitori che devono lottare per vedere i propri figli dopo essersi separati dal coniuge giapponese: colpiti e commossi, abbiamo capito che poteva essere il soggetto del nostro prossimo film”. Premessa particolarmente affascinante quella di Une part manquante, titolo originale del film, in sala dal 30 aprile distribuito da Teodora Film; peculiare perché racconta una vicenda sconosciuta ai più, la triste parabola dei “gaijin” (stranieri) in Giappone. Qui la legge in caso di separazione non prevede l’affido congiunto ed ecco che la prole viene assegnata integralmente alla parte nipponica. È il destino del protagonista Jay (Duris), che tutti i giorni percorre Tokyo a bordo del suo taxi, per lavorare e mantenersi ma anche con una speranza segreta: ritrovare la figlia Lily che non vede da nove anni e che – sembra incredibile – può incrociare solo con un incontro casuale.

Non è facile in una delle città più popolose del mondo, con oltre otto milioni di abitanti; eppure un giorno, quando è chiamato a prelevare una ragazza con le stampelle a causa di un infortunio, malgrado il tempo passato il padre riconosce subito la figlia. E sceglie, per il momento, di tacere. L’uomo peraltro fa parte di un’associazione che si occupa di questi problemi, anzi drammi, storture di Stato che portano genitori a non vedere più i figli, e proprio in questa militanza può tastare le derive, come nella figura dell’amica-amante Jessica che rischia di scivolare nell’abisso. Jay è alle prese col dilemma etico e col dettato dell’autorità spietata, perché violando le disposizioni rischia il carcere; in più spesso i bambini dimenticano i genitori o assimilano storie, come l’abbandono o la fuga, quindi non è dato sapere come Lily potrebbe reagire. E invece… Una volta rivelata la realtà, la giovane si mostra acuta e sensibile e “accoglie” il padre, per una giornata insieme che può essere l’unica e l’ultima. L’occhio del regista perlustra Tokyo con passo, come detto, non retorico laddove lo sfondo ultramoderno e luccicante non è mai il punto, anzi viene smitizzato attraverso alcuni dettagli come gli ubriachi raccolti in taxi a fine serata. Il nocciolo della questione resta tutto nel tema; come il precedente Le nostre battaglie sollevava la questione del lavoro operaio, intrecciato alla vita intima, stavolta affidandosi allo stesso corpo d’attore viene inscenata la condanna del genitore, la complessità della separazione davanti alla norma ingiusta. Un paragone lontano ma possibile? La solitudine del divorziato ne Gli Equilibristi di Ivano De Matteo, in cui Mastandrea indigente finiva per dormire in macchina. Qui le cose sono diverse, ma simile l’amarezza. Film duro e disperato, questo Ritrovarsi a Tokyo, capace all’improvviso di aprirsi a teneri slanci di sentimento: come l’idillio momentaneo tra padre e figlia, che si conclude con l’arresto dell’uomo e il bacio fugace della ragazza. Una storia tanto assurda che non prevede lieto finale, ma almeno un rapporto si è creato, grazie alla chimica tra Romain Duris e Mei Cirne-Masuki nella parte di Lily. Il primo in una prova magistrale quasi tutta in giapponese, la ragazza portatrice sana di una dolcezza meticcia.


di Emanuele Di Nicola
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