Strange Way of Life

La recensione di Strange Way of Life, di Pedro Almodóvar, a cura di Francesco Di Brigida.

Quel muro western di eterosessualità lo aveva già infranto Ang Lee diciotto anni fa portando sul grande schermo di Venezia il racconto Brokeback Mountain. Ma era un West dei nostri giorni. Oggi invece arriva Pedro Almodóvar e profana ogni pregiudizio sulla stella dorata di uno sceriffo interpretato da Ethan Hawke. Dopo venticinque anni si rifà vivo nella sua cittadina un ranchero messicano, Pedro Pascal, con il quale aveva avuto una breve storia appassionata. Inizia un gioco di attrazione e respinte tra i due che porterà alla rivelazione di ciò che davvero li lega ancora nonostante il tempo passato.

Con Strange Way Of Life, Almodóvar inscena un genere classicissimo del cinema e ancor più machista senza rinunciare al suo stile impostato sulla saturazione dei colori. A partire dalla giacca verdina di Pascal, i costumi sono peraltro di Saint Laurant che co-produce, mentre il regista gira ad Almeria, vecchio avamposto di set spagnoli e immaginari western, insinuando nelle nostre sedimentazioni cinematografiche non tanto la novità di due amanti pistoleri ma la leva intrigante sul loro passato segreto e il twist che potrebbe cambiare tutto.  

Parliamo sempre di un’epoca dove i cinturoni stringevano forte i fianchi di un cowboy, comunque meno del controllo sociale sulla vita e meno ancora dell’inconfessabilità di un amore scoppiato all’ebbrezza del vino. Gli attori compongono un’accoppiata in perfetto schema Yin e Yang, e il regista originario di Calzada de Calatrava si diverte quasi a giocare con gli stilemi del genere come lo stallo alla messicana. Un bon bon di equilibri formali che contengono e dosano con maestria ogni emozione sullo schermo sabbioso di questo western almodovariano.

Il corto in Italia viene proposto in sala a biglietto ridotto dal 21 settembre e successivamente sarà sulla piattaforma MUBI. Sarebbe un gran bell’esperimento se questo lavoro venisse agganciato al precedente The Human Voice (2020) sogno frustrato di una donna abbandonata con Tilda Swinton, e magari a un prossimo firmato sempre da Almodóvar. Rappresenterebbe un prezioso trittico mainstream per portare il cinema breve in sala fronteggiando a testa alta i consueti lungometraggi. Almodóvar o meno, chissà se verrà mai esplorata questa frontiera del mercato audiovisivo.


di Francesco Di Brigida
Condividi

di Francesco Di Brigida
Condividi