Emilia Perez
La recensione di Emilia Perez, di Jacques Audiard, a cura di Marco Lombardi.
Se per Godard anche un semplice carrello era una questione morale, figuriamoci cosa potremmo dire della scelta di usare il filtro del musical quando i temi affrontati sono tragicamente reali, e importanti, e attuali (la violenza sulle donne, il narcotraffico e la difficoltà di cambiare il proprio sesso).
È tuttavia l’ironia insita nella storia di Emilia Perez a consentirlo, perché – in barba ai machismi imposti dall’ambiente – a voler diventare donna è un feroce narcotrafficante che da subito si lega empaticamente allo spettatore a filo doppio, addirittura suscitando un paradossale istinto protettivo. Lo stesso dicasi della giovane avvocatessa che lo traghetta verso dove ha sempre desiderato essere, perché lei (almeno all’inizio) non lo fa per un innato senso di giustizia, piuttosto per i soldi, visto che, nel suo lavoro, aveva sempre dovuto sporcarsi le mani senza neanche guadagnarci su.
Insomma, come da copione (del suo cinema) Audiard non passa attraverso i moralismi, raggiungendo la morale solo attraverso un plausibilissimo percorso umano di tutti i suoi personaggi, i cui comportamenti (seppur eccessivi) sono sempre plausibili.
Certo, Emilia Perez strizza l’occhio al grande pubblico grazie alla sua potente drammaturgia e grazie a un piccolo ricatto emotivo (si sa, la paura di sembrare contro certi temi sensibili condiziona il giudizio dell’opera che li contiene), ma tutto è così al suo posto, nella storia, e i temi musicali che la trascinano così coinvolgenti, che questa componente finisce per cadere in secondo piano, ivi compreso un finale che risolve salomonicamente il dilemma di chi “perderà”.
Insomma, Emilia Perez è un bellissimo film multistrato che profuma da subito di Palma d’oro, e pure di qualche statuetta, agli Oscar che verranno.
di Marco Lombardi