Ritratto di un amore

La recensione di Ritratto di un amore, di Martin Provost, a cura di Antonio Maiorino.

Il triangolo no. Non proprio. Anche se il titolo originale di Ritratto di un amore di Martin Provost recita Bonnard, Pierre et Marthe, si tratta soprattutto di un duetto: quello tra il pittore francese, che a fine Ottocento si mosse in orbita impressionista per poi avvicinare il Simbolismo, e la sua amante, musa e infine moglie Marthe de Meligny. È suo il corpo che comparirebbe almeno in un terzo delle oltre duemila tele di Pierre Bonnard (salvo dubbi legati a deliberate sfocature del viso). Presentato a Cannes 2023, il film di Provost, ora in sala con I Wonder Pictures, tratteggia un rapporto segnato da joy de vivre, esuberanze avventurose, dubbi melodrammatici, insidie di salute – e poi, sì, alla fine arriva anche un triangolo, come nella più classica delle storie d’amore.

Il vero terzo tra Pierre (Vincent Macaigne) e Marthe (Cécile de France) è proprio Bonnard: la storia dei due non è solo nella carezza del coniuge, bensì nell’occhio del pittore, nei suoi polpastrelli nervosi ma metodici, che fecero della donna l’ispirazione irrinunciabile. Dietro Pierre spunta sempre Bonnard, e viceversa. Fino agli ultimi giorni, quando tra i capelli dei due spuntano capelli bianchi come il mandorlo in fiore del loro giardino.

Biopic? Forse no. Al massimo biopic in tandem. E a fare coppia, è soprattutto il dittico dei toni: leggerezza e dramma. È forse la vibrazione più ispirata di Ritratto di un amore, quasi una tavolozza cinematografica che usa i complementari come gli Impressionisti. Dagli interni soffocati di velluto, nella penombra bruciata dei candelieri (l’abitazione parigina dello scultore Thadee, cenacolo degli intellettuali parigini), si passa alla casa di campagna in riva alla Senna di Pierre e Marthe, dove la presa del suono non risparmia né il ronzio delle mosche né il frusciare delle foglie. Uno stacco del montaggio nella prima parte trapassa da Marthe che piange alla stessa, in compagnia di amiche, che ride: esempio perfetto delle piroette sentimentali (ma non sentimentalistiche) del racconto. I drammi sono leggeri – Marthe è sempre in ritardo, persino a un funerale – e le commedie sanno intristirsi quanto basta con un sentimento di caducità. Meglio così: rischiavamo un pomposo melodramma in costume o, peggio ancora, il lemma enciclopedico sulla vita di Pierre e della sua musa. Si gode, invece, di una nouvelle vague gentile, in cui alle complicazioni esistenziali riescono a sincronizzarsi ritmicamente anche valzer notturni, bagni nudi nel fiume, nascondini, corse a perdifiato. Gioiose o isteriche: altrimenti che tandem è?

En plen air o tra le mura domestiche, Ritratto di un amore è tutto in questo continuo sfiorire d’autunni e rifiorir delle primavere. In una gustosa e avvelenata scena di picnic nel giardino di Bonnard e Marthe, cui partecipa la vecchia compagnia parigina, en passant Provost profila anche un mini-ritratto di Claude Monet (André Marcon), che si sfila imperturbabile dal gruppo per dipingere ninfee (“quando è concentrato, è feroce”, dice la moglie Camille). Nel frattempo, quella che doveva essere un ameno dejeuner sur l’herbe diventa un pranzo tra perfetti sconosciuti, con micidiali stilettate e rabbiose forchettate. Silenziosa per tutto il tempo, sarà proprio Marthe a diventare regina della scena, magistralmente pennellata, nel suo apice, con un duello verbale al femminile tra le acque della Senna.

Proprio quelle acque, dove Pierre e Marthe si tuffano volentieri svestiti, minacciano costantemente di trasformare la musa in un’Ofelia. Nessuna vera tragedia lambisce, comunque, il cuore di Ritratto di un amore. Cécile de France, che si direbbe musa anche di Provost, riesce sempre a far galleggiare il personaggio di Marthe nella dimensione terrena. “Vostro marito ha fatto di voi un mito”, dice Renée (Stacy Martin), giovane e avvenente modella di Bonnard, mentre posa per il pittore; “un mito che ora deve tornare alle sue pentole”, replica Marthe. La Venere è diventata Venere degli stracci, o delle pentole. Sempre capace, però, d’ispirare Bonnard – o Pierre, fate voi. L’ultimo gioco dei complementari, l’ultimo rovesciamento di tono è tra l’amore che rigenera l’arte, e l’arte che si fa eterna primavera dell’amore. Bonnard, unitosi ai Nabis (“i profeti”) per rivoluzionare l’arte moderna, vive della rivoluzione del cuore di Pierre. Una rivoluzione chiamata Marthe. Questo amore è da museo.


di Antonio Maiorino
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