17ª edizione de La Nueva Ola – Festival del cinema spagnolo e latinoamericano
Anton Giulio Mancino ripercorre la 17esima edizione de La Nueva Ola.
Si conclude, ma solo provvisoriamente, il 19 maggio, a Roma, al Cinema Barberini, la 17ª edizione della Nueva Ola – Festival spagnolo e latinoamericano, diretto da Iris Martin-Peralta e Federico Sartori, perché i titoli maggiori del programma continueranno a spostarsi in varie città italiane, tra cui Genova (Cinema Nickelodeon), Napoli (FOQUS), Messina-Capo Peloro (Horcynus Fest), Torino(Cinema Baretti), Padova(cinema Lux), Bergamo (Cinema Conca Verde), Trevignano Romano (Cinema Palma), Cagliari (Cinema Odissea); senza contare la possibilità di fruire di un’ampia selezione di film in streaming su MyMovies fino al 26-27 maggio prossimi. Perciò è con una certa serenità che ci si può muovere nel programma di quest’anno e segnalare in piena libertà e autonomia titoli senza necessariamente vincolarli ad una priorità gerarchizzata, che infatti non terrebbe conto della pluralità di sguardi, voci e stili che si sono andati avvicendando da una sezione all’altra.
Uscirà ad esempio regolarmente in sala in tutta Italia il 23 maggio, distribuito da EXIT Media, Samsara dello spagnolo Lois Patiño, il quale ha scelto il 16 millimetri per visualizzare un trapasso animistico dal Tibet all’Africa, incrociando il tema della reincarnazione e del buddismo con la prospettiva premiale del Paradiso che invece la religione mussulmana riserva ai defunti. Tra minori e animali, adulti e anziani questo viaggio trasversale nello spazio-tempo entra in cortocircuito con avvicendamenti cromatici a metà del film, come in Stanley Kubrick nel celebre passaggio psichedelico di 2001: Odissea nello spazio o nella sequenza dei cartelli nei titoli di coda di Arancia meccanica. La vita che trascende la morte nell’ottica, in tutti i sensi, di Patiño è anche quella dello spettacolo audiovisivo che si rinnova ma necessita, nella inevitabile palingenesi, di un cuore antico; quindi della pellicola e della bassa risoluzione di un supporto pregresso, come nella saggezza mistica degli anziani o dei culti tribali; e che è soprattutto espressione di incanto, suggestione, spettacolo della natura, tra fauna marittima, terrestre e ultraterrena.
Né è un caso, in questo gioco di destini e associazioni di idee incrociate, che il pensiero corra immediatamente all’abbinamento con Yana – Wara, film postumo del peruviano Óscar Catacora, portato a termine da suo zio Tito, che sviluppa la parabola di Wiñaypacha del 2017. Dal conclusivo primo piano (come altro definirlo?) della capra immacolata di Samsara fa piacere trascorrere nel rigoroso e marmoreo bianco e nero di Yana – Wara, dove la fissità delle inquadrature assume ugualmente una valenza mistica in perfetta sintonia con il realismo magico di matrice spirituale sudamericana. In un gioco iconografico, in grado di associare il campo visivo abbracciato dalla macchina da presa all’autorappresentazione dell’antica comunità andina Aymara (come i Masai evocati nella seconda parte di Samsara), ecco che l’uso della koinè indigena restituisce, unendo tensione, figure infantili e ritualità, allo spettatore contemporaneo ugualmente uno spessore ancestrale, negato alla messa in scena delle esperienze digitali correnti.
Ma l’atmosfera sospesa e intergenerazionale regna sovrana anche in Memorias de un cuerpo que arde di Antonella Sudasassi, già vincitore al Festival di Berlino del Premio del Pubblico nella sezione Panorama, in cui è evidente e fertile la lezione di Robert Altman in Tre donne, ma anche dei capolavori bergmaniani, poiché il trittico femminile di queste figure, in silenziosa eppur fervida opposizione al sistema patriarcale del Costa Rica, dialoga con un’anziana donna dai contorni immaginari. C’è insomma nella quotidianità stratificata del film di Sudasassi la netta consapevolezza dell’indicibile, tra desideri calpestati e inconfessabili dolori subiti, l’idea durevole di un plurale femminile non passivo ma destinato a sopravvivere, ascendere e auto-rifondarsi, di generazione in generazione.
di Anton Giulio Mancino