Non sono quello che sono
La recensione di Non sono quello che sono, di Edoardo Leo, a cura di Guido Reverdito.
Siamo agli inizi del nuovo millennio, in quella terra di tutti e di nessuno che è il litorale tra Anzio e Nettuno. All’interno di una delle tante gang malavitose che ammorbano quel lembo di terra, il navigato Iago – mosso dal rancore che nutre verso il boss Otello che gli ha negato una promozione preferendogli il giovane e belloccio Michele – ordisce un piano diabolico per vendicarsi. Con l’aiuto dell’amico Roderigo, riesce a far sì che Otello si lasci divorare dal tarlo della gelosia per Desdemona, la ragazza che ha appena sposato, instillandogli il sospetto di un presunto adulterio proprio con Michele. La fine è nota. Anche perché non ci vuole un dottorato in letteratura inglese per capire dai nomi dei personaggi che siamo dalle parti del capolavoro scespiriano La tragedia di Otello, moro di Venezia.
Dopo quasi cinquanta film da attore, otto regie e molte serie TV da protagonista, giunto nel mezzo del cammin della sua vita, Edoardo Leo si è imbarcato in un’avventura drammaturgico-registica non per tutti. Ovvero innestare i versi del bardo nel sottosuolo degradato della malavita del litorale romano, facendo assurgere questa arcinota celebrazione della gelosia e delle sue conseguenze esiziali a favola morale aggiornata al mondo che ci è toccato in sorte in questo primo scorcio di millennio. Una sfida da brividi se si considera che il testo originale è stato mantenuto nella sua quasi totale integralità, limitandosi a colorire gli scambi quasi sempre aulici di battute con la sfacciata crudezza del romanesco più verace.
Questa scelta ardita crea un voluto effetto di straniamento: se da una parte è difficile non lasciarsi sedurre dal mix surreale di coatti terra terra che parlano come accademici navigati, dall’altra ciò che ne risente immediatamente è l’assenza quasi totale di realismo in un’operazione che aveva forse tra i suoi obiettivi di fondo anche quello di dimostrare che un classico senza tempo possa essere riadattato a qualsiasi latitudine storica e socio-culturale senza creare iati incolmabili tra le premesse teoriche e la loro applicazione pratica.
Lo Iago disegnato da Leo attore è una sintesi michelangiolesca di malvagità perversa che giganteggia imponente sul resto del branco, e il cui isolamento viene accentuato dal Leo regista inquadrandosi spesso di fronte alla vastità del mare in tempesta o in campi lunghi su spiagge desolate come il suo cuore. Il che non aiuta però il resto del cast che sembra spesso a disagio (soprattutto la giovane Ambrosia Caldarelli, impacciata nei panni scomodi di Desdemona) a fianco di un personaggio inevitabilmente larger than life quale il burattinaio che allestisce l’ordito della trama.
Al netto di questi spigoli che accentuano la contundenza del tutto, non si può però dire che l’intero progetto di questo adattamento letterario innestato in un sottogenere ormai un po’ liso come quello del crime drama in salsa romana sia meno riuscito del previsto. Grazie a una regìa solida e ferma che dimostra come ormai Edoardo Leo abbia imparato a liberarsi dei panni dell’attore quando sta dietro alla macchina da presa, Non sono quello che sono (che è un verso scippato al personaggio scespiriano che nel film esce dalle labbra di Iago all’inizio del film) riesce comunque a imporsi come neo-noir sporco e cattivo capace di contestualizzare ai giorni nostri un racconto esemplare su un sentimento eterno come la gelosia.
di Guido Reverdito