Non è un paese per vecchi

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non___un_paese_per_vecchi-imgPiù affine alle atmosfere tese e cupe di FargoL’uomo che non c’era che a quelle scanzonate e visionarie de Il grande Lebowsky, l’ultimo film dei Coen racconta la storia di un uomo, Llewelyn Moss (Josh Brolin), il quale, rubando una valigia piena di soldi, innesca una tremenda reazione a catena e si ritrova alle calcagna un killer psicopatico, che ha il volto allucinato e imperturbabile di Javier Bardem.
I fratelli Joel e Ethan hanno saputo imprimere al loro cinema uno stile inconfondibile e originale, miscelando il noir e la commedia e dando vita a personaggi indimenticabili, spesso grotteschi fino al surreale; e con questo film, più che indagare la psicologia distorta di un folle assassino, vogliono raccontare la fuga estenuante e disperata di Moss, un uomo qualunque che in un giorno come tanti si lascia coinvolgere in una storia tremenda e senza fine. Il soggetto nasce dal romanzo di Cormac McCarthy No country for old man e appare perfettamente in linea col personalissimo itinerario personalissimo creativo portato avanti dai Coen nel corso degli anni.

Il film scorre teso in un silenzio quasi straniante, senza mai un commento musicale fuori campo ad accompagnare i gesti e i passi dell’assassino, personaggio così eccentrico e bizzarro da spingersi al limite dell’ironia, come avviene spesso nel cinema dei Coen. La narrazione procede in modo iperbolico, in un crescendo di violenza cieca la cui cruda rappresentazione non lascia nulla all’immaginazione ma anzi sconfina in una dimensione intensamente iperrealista. Lo sceriffo che si occupa del caso, interpretato in modo eccellente da Tommy Lee Jones, è l’unico personaggio che, per quanto amareggiato e disilluso, non sa restare indifferente di fronte allo scempio della morte, e conserva una traccia forte di umanità e moralità in un mondo tutto dominato da logiche assurde e sanguinarie. Quella dei Coen è un’America violenta e al contempo malinconica, fatta di paesaggi silenziosi e sconfinati, di strade dritte e vuote che attraversano deserti immobili, della solitudine angosciata dei motel, di atmosfere pesanti e rarefatte che saturano il campo visivo come nei suggestivi dipinti di Hopper. La splendida fotografia di Roger Deakins fissa in immagini indimenticabili una provincia americana di cui nel film sono descritti con acutezza e lucido distacco soprattutto gli aspetti più inquietanti.

Il destino dei personaggi non è un disegno nitido tracciato da una mano ferma e sicura, ma un intrico di segni imprevedibili, un caos insensato spesso intriso di ferocia e brutalità. E’ una traccia di sangue, quello di un cane ferito, che guida Moss nel luogo in cui avrà inizio la storia che stravolgerà la sua vita. Uno scambio di droga nel mezzo del deserto è finito male, quattro jeep sono parcheggiate su una pianura, circondate da cadaveri di uomini e cani: la similitudine è esplicita, agghiacciante. Quando il protagonista raggiunge la scena del crimine la macchina da presa scopre lentamente i corpi insanguinati e sporchi di polvere riversi a terra. Moss cammina senza stupore in un mondo in cui ogni traccia residua di umanità è sovvertita completamente nel segno della violenza, dell’annientamento e della morte. La sequenza, sebbene posta nella prima parte del film, ne racchiude in modo compiuto e magistrale il senso, svelando in un silenzio irreale e sospeso la sostanza tragica delle cose. I sentieri percorsi dai protagonisti quasi si incrociano in questo luogo maledetto, dove ognuno in qualche modo dovrà passare: ma nessuno reclamerà i cadaveri dei narcotrafficanti messicani che, col passare dei giorni e delle notti, resteranno nella polvere come una macabra scenografia. Il tempo che scorre sui corpi inerti abbandonati nel deserto, in una dimensione in cui anche la morte appare priva di significato, dà la misura del valore che in questo mondo è assegnato alla vita. La degenerazione dell’uomo è tutta espressa, nel film, da questa disumana indifferenza di fronte al corpo esanime e dall’accanirsi della violenza sul corpo vivo: quello continuamente braccato e straziato del protagonista Moss e quello orrendamente ferito del killer che lo insegue. Del resto molto cinema contemporaneo, dai Coen a Tarantino fino a Lynch e Cronenberg, sembra farsi interprete di una crisi della figurazione del corpo nella dimensione filmica, che porta il segno delle contraddizioni e delle tensioni della società attuale. Tuttavia, mentre in alcuni film di Tarantino si avverte una volontà di arrestarsi alla superficie di una rappresentazione estetizzata ed estremizzata della violenza, la presenza di immagini altrettanto forti in Non è un paese per vecchi sembra rispondere all’esigenza profonda di esprimere una visione più complessa e articolata del reale.


di Arianna Pagliara
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