Mister Morgan

Un film al femminile, Mr. Morgan, che ha come punto d’eccellenza la prova di Michael Caine, l’unico interprete maschile di rilievo (anche se è presente il figlio interpretato da Justin Kirk).
Tratto da un romanzo della francese Françoise Dorner, diretto dalla tedesca Sandra Nettelbeck, si sviluppa sulle ali del romantico contaminato da atmosfere drammatiche e racconta dell’amore eterno di un uomo che non riesce (e non vuole) dimenticare la moglie morta per il cancro tre anni prima ma che torna a vivere dopo l’incontro con una ragazza molto affettuosa nei suoi confronti.

Con atmosfere che possono ricordare Amour (2012) di Michael Haneke Premio Oscar per il miglior film in lingua straniera, è meno drammatico anche se lo sviluppo porta ad un inevitabile finale.
Michael Caine, quando ha una parte che sente propria, riesce ad essere assolutamente perfetto dimostrando un’incredibile padronanza dei mezzi toni, calandosi all’interno del personaggio in una simbiosi perfetta.
Lui è Mister Morgan, non lo interpreta; spesso ci si dimentica di assistere a un film, si vede la sofferenza senza possibilità di sollievo che solo l’amore assoluto può dare al momento della sua tragica privazione.
Il volto attonito, l’incapacità di vivere senza di lei, la certezza che per lui non rimanga altro che la morte; tutto questo raccontato soprattutto con l’espressività del volto splendidamente composta ed efficace.

Il protagonista è un professore in pensione che si era trasferito a Parigi perché la moglie, già affetta dal cancro, aveva quest’ultimo desiderio. Poco importa se non ama la vita dell’Europa per lui troppo frivola, se trova riparo in mezzo ai suoi amati libri che gli fanno dimenticare quanto non ama: l’unica cosa che sente come suo dolce dovere è di assecondare la moglie.

Ora vaga per i boulevard di Saint Germain, continua a sedersi sulle panchine dei giardini dove erano soliti pranzare con delle baguette, sente e vede la moglie unica sua vera ragione di vita. Si rifiuta di imparare il francese, non accetta le abitudini gastronomiche locali, pensa con frequenza al suicidio come unica possibilità per uscire dal dolore della mancanza. Incontra in autobus una ragazza simpatica che lo vede in difficoltà e lo accompagna fino a casa senza chiedere nulla, senza un’apparente ragione se non trattare con umanità un’altra persona.

Lei insegna il cha cha cha, lui la segue e inizia a frequentarla come amica con cui condividere emozioni e paure. Questo lo sconvolge perché, forse, prova anche un platonico amore per lei che rifugge perché lo considera tradimento per il ricordo della moglie. Non sopporta questa situazione, tenta il suicidio ma viene salvato in tempo. Dagli Stati Uniti giungono i due figli, che non si sapeva lui avesse, i quali vedono la ragazza come un’approfittatrice interessata al denaro del padre. A Parigi rimane il figlio, lasciato da poche settimane dalla moglie fedifraga, che pian piano capisce di avere sbagliato a giudicare questa francese dal cuore d’oro.

La storia è semplice, i risvolti tutti assolutamente prevedibili ma il film riesce a coinvolgere gli spettatori, specialmente quelli di sesso femminile, che partecipano a quanto accade sullo schermo.
La regista Sandra Nettelbeck ha sempre amato il cinema tanto che a 18 anni, terminato il liceo, ha immediatamente iniziato a lavorare come assistente di produzione in diversi film tedeschi. Poi, a venti anni il trasferimento negli Stati Uniti per studiare alla facoltà di Cinematografia della San Francisco University.

In Mister Morgan riesce a non cadere nella trappola del melò più piagnucoloso che, peraltro, rasenta più di una volta. Ma alcune scelte non risultano completamente condivisibili, soprattutto la quasi continua presenza della moglie morta che dialoga col marito quale fantasma che vuole proteggerlo e consigliare. Pur nulla volendo togliere alla bravura della statunitense Jane Alexander, il personaggio a tratti dà fastidio e non permette di avere maggiore partecipazione alla vicenda raccontata.

A questo si aggiunga il dolore raccontato in maniera fin troppo epidermica che si capisce di più attraverso l’esteriorità di volti che esprimono pianto e disagio che non grazie ad un lavoro sulla psicologia dei personaggi.
Anche la figura della figlia dell’uomo si dimostra un’occasione perduta nulla spiegando sul conflitto generazionale che li divide e non li fa dialogare con amore. Gillian Anderson, sicuramente male servita dalla sceneggiatura, non riesce mai ad essere completamente credibile.

Il figlio è meglio delineato anche perché attorno a lui ruota parte della vicenda dopo il tentato suicidio del padre. Si capisce subito che non sparirà nel nulla, che grazie a lui parti irrisolte della storia troveranno una soluzione logica ma anche facilmente prevedibili. Gillian Anderson, con varie esperienze soprattutto televisive, offre una discreta prova dando visibilità al dramma e all’amore di un uomo che deve affrontare il padre che ama e teme sapendo di avere fallito anche come marito.

TRAMA

Mister Morgan è un anziano professore di filosofia che si è trasferito a Parigi per assecondare il desiderio della moglie malata terminale. Dopo la sua morte si trova spaesato e senza più voglia di vivere. Un giorno incontra giovane insegnante di cha cha cha sul autobus e riscopre il piacere della felicità. Da questo incontro entrambi riscoprono la fiducia nel prossimo, sono sempre più uniti in un’amicizia totale. Ma l’uomo è assillato da complessi di colpa, tenta il suicidio, giungono da oltreoceano i figli e inizia un’altra parte della sua vita, forse la più importante.


di Redazione
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