“Cher Alain, lei metteva in scena il lavoro, la vita…”. Resnais, il ricordo di André Dussollier

Al Cimitero di Montparnasse, sulla Rive Gauche, l'attore André Dussollier ha pronunciato un appassionante omaggio al regista Alain Resnais.

Gilles Jacob aveva giustamente suggerito che Alain Resnais meritava funerali di stato; ma il diretto interessato e la sua compagna-musa Sabine Azéma avevano optato per l’intimità. La cerimonia funebre particolarmente poetica – solo fiori bianchi, un capolavoro di laicità e intimismo, fedele allo spirito di Alain, che amava definirsi  “sono un ateo mistico” – si è svolta alla chiesa di Saint Vincent de Paul, a due passi dalla mitica Gare du Nord. Brevi brani musicali, pochi interventi di collaboratori di Alain, persino qualche estratto filmico che ci stava così bene in una chiesa (una sorprendente sequenza comica di un film di Stan Laurel e Oliver Hardy anni trenta che si sforzano di eseguire un numero di danza!), un sentito Omaggio all’uomo e all’artista pronunciato a sorpresa da un ispirato sacerdote cinefilo (ha surclassato la successiva commemorazione ufficiale del ministro della cultura)… Certe cose i nostri cugini francesi le sanno fare in maniera esemplare, loro alla Cultura ci credono.

La mattinata si è conclusa nell’intimità al Cimitero di Montparnasse, sulla Rive Gauche così cara ad Alain. Prima dell’inumazione il grande attore André Dussollier, uno dei prediletti del regista bretone, ha pronunciato con quella sua voce inimitabile  un appassionante Omaggio che ha “stregato” i presenti. Un prezioso documento storico, lo proponiamo qui in esclusiva, a distanza di un mese dalla scomparsa del maestro francese.

Il ricordo di
André Dussollier

«Cher Alain,

Quante volte abbiamo pronunciato queste due parole per significare il piacere di incontrarla, di ritrovarci insieme. Quante volte queste due parole ci tornavano in mente appena ci eravamo lasciati. Quante volte ci risuoneranno dentro ripensando alla felicità di averla conosciuta.

Ci vedevamo con la certezza ogni volta di imparare, di scambiarci  delle cose profonde tra il serio e il faceto. Il suo sorriso, per cominciare, era un invito irresistibile. La sua maniera così particolare di aprire maestosamente la porta, di accoglierti, lo sguardo sempre vivissimo, mai distratto. Niente poteva superare l’importanza del momento che avremmo passato insieme, che fosse consacrato al lavoro o al piacere di incontrarsi.

Qualunque fosse la posta in gioco, lei metteva in scena il lavoro, la vita. Lei preparava gli incontri, pensava i rendez-vous come  momenti di un’importanza estrema. Scoppiettavano i riferimenti, le allusioni e le improvvisazioni si rincorrevano in un balletto che lei si divertiva a dirigere.

Le digressioni prendevano spesso il sopravvento sul lavoro. Lei parlava di medicina, di farmacia, poteva vantare i meriti del radicchio, scherzare sulla biologia animale, improvvisare su Ulisse e Penelope, evocare i gesti così avvolgenti di Fritz Lang e Sacha Guitry, attraversare a tutta velocità il salotto con le ginocchia piegate imitando Groucho Marx.Tutto era pretesto per giocare, e lei ci metteva tutta la sua arte.

A casa sua, manifesti, dichiarazioni, fotografie, commenti, film, libri, serials, musica, fumetti, figurine, scenografie: un museo personalissimo, un atelier d’enfant, tutta una vita di cinema. Niente si faceva o si diceva se non per il piacere di inventare.

Dal primo all’ultimo giorno delle riprese lei sollecitava in ciascuno dei suoi collaboratori la capacità creativa, a questo  dedicava tutto il suo tempo, la sua attenzione, la sua considerazione.

Quando ci si incontrava per parlare del personaggio che lei ci aveva proposto, aveva previamente immaginato anche la vita dei loro nonni e genitori , per aiutarci a inventare la sua vita di oggi.

Si procedeva in armonia fianco a fianco, lasciando in ombra certe battute che, per non definirle troppo presto, sfioravamo appena. Ne cercavamo il senso nascosto. Ci giravamo intorno con prudenza ma senza concessioni, per meglio mettere a fuoco il senso misterioso che sognavamo di offrirvi dopo questo scambio. Poi veniva il momento di dar vita al personaggio. Tutto si faceva in una perfetta  armonia.

Abituato al fatto che al cinema si va sempre di corsa, la prima volta che ho girato con lei mi colpì un particolare:  dal secondo piano della casa dove si facevano le riprese lei è sceso per venire a mormorarmi all’orecchio un prezioso suggerimento. Lei parlava al cuore: non potevamo che offrirglielo a nostra volta.

Durante le riprese del nostro ultimo film (Aimer, boire et chanter), dopo aver recitato la scena venivamo a casa sua per vedere di mettere ancora qua e là qualche tocco di colore, per riflettere insieme in silenzio, in cerca di un’idea che avrebbe potuto sfuggirci. Sempre questa atmosfera di dolcezza, questa attenzione e  fiducia reciproca. Un ostacolo non era mai un freno, ma la promessa di una nuova invenzione. Era uno spettacolo vedere come lei ogni giorno avrebbe organizzato lo spazio per mettere in scena la vita.

Lei ha sempre amato vivere in mezzo alla troupe. Giovanissimo, si divertiva a mostrare dei filmini ai compagni, ai “Corsi René Simon” di recitazione filmava le prove degli aspiranti attori, più tardi faceva lo stesso con gli scrittori che diventarono gli autori dei suoi film.

Lei si è sempre lanciato nei progetti senza pensare a quanto avrebbe detto la critica o il pubblico. La sua curiosità divorante l’ha spinta a vedere e leggere di tutto, a tutto ascoltare, con l’avidità dell’autodidatta.

Spettatore assiduo, al teatro come al cinema, ha frequentato i palcoscenici, i libri, la musica, la pittura, i fumetti, riversando poi nel cinema tutto quello che aveva appreso altrove, proponendoci di scoprire il teatro in Mélo, la scultura in Anche le statue muoiono, di introdurci alla scienza in Mon oncle d’Amérique, di immergerci nella filosofia con L’amour à mort, di ridere con Smoking/No smoking, di tremare davanti alla Storia con Nuit et brouillard, di ascoltare la musica con Gershwin, le parole delle canzoni in On connaît la chanson, lasciando sempre libero corso alla sua ispirazione istintiva, a quelle che chiamava  le “herbes folles” .

«Ma perché non fai dei film come tutti gli altri?», le ha chiesto un giorno sua madre. «Perché lo fanno già gli altri», rispose. La faceva sorridere il fatto che si potesse pensare che un giorno tutti i films si sarebbero rassomigliati, mentre ovviamente il mondo del cinema è assai grande per contenerli tutti.

Ripeteva: «Se un film rischia di far sonnecchiare lo spettatore si deve dar un bel un colpo di cembalo per risvegliarlo, imboccare senza preavviso una strada imprevista». Niente ha mai potuto impedirle di andare avanti per la sua strada. Diceva: «Parola d’ordine? Fare tutto quello che ti passa per la testa. Rifiuto l’idea che l’immaginario sia considerato come un’altra forma di realtà, dato che tutto quello che passa nella nostra testa è la vita».

Se un’immagine incongrua continuava a ritornarle in mente  lei finiva per le trovarle un posto nel film, la faceva  esistere. Lei era sempre pronto a continuare l’avventura del cinema, a  girare ancora e sempre nuovi film, per «vedere come va a finire».

Quando le hanno attribuito a Berlino un mese fa il premio Alfred Bauer per “un film che apre nuove vie al cinema”[Aimer, boire et chanter], lei non è andato a ritirarlo perché voleva terminare la preparazione del suo prossimo film! Aveva sempre voglia di continuare ad approfondire temi e soggetti nuovi, creare scene, dar vita a nuovi  film.

Al posto delle Palme, dei Leoni, Orsi, Césars, alla fine delle riprese dei suoi ultimi film lei ci conferiva un ambito premio di sua invenzione, la  “Lucertola d’oro”.

Alla fine di ogni ripresa non diceva mai stop; lasciava che la vita continuasse a sorprenderci in silenzio. Dopo un certo momento la sua voce pacata ordinava: “Collure!” [letteralmenteincolla”, in italiano  Stop! Un tempo la fine di una scena e l’inizio della seguente venivano incollati.] Come ogni buon montatore lei era preoccupato della scena che sarebbe venuta dopo quella che avevamo  appena vissuto.

I film continuano a vivere la loro vita; noi però non potremo mai sentirci separati da lei grazie ai momenti magici che abbiamo vissuto insieme, alle opere che ci ha offerto, a questo “legame” (collure) che ci “incolla” per sempre a lei, Cher inoubliable Alain

*Si ringrazia Aldo Tassone per la traduzione dal francese e per il reperimento del testo relativo all’omaggio di André Dussollier nei riguardi di Alain Resnais.


di Redazione
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