L’uomo senza passato
L’uomo senza passato è la seconda tappa della trilogia che Aki Kaurismäki sta dedicando alla sua patria, la Finlandia. Dopo Juha (1999) il regista, molto amato dai cinefili per l’acre spirito ironico – anarchico che lo contraddistingue, costruisce una sorta di summa, stilistica ed estetica, del suo lavoro.
Un personaggio, solitario e silenzioso come si conviene, arriva a Helsinki, si addormenta su una panchina ed è picchiato selvaggiamente e derubato da tre teppisti. Ricoverato in ospedale è dato per morto. Si risveglia misteriosamente e subitamente, ma finisce svenuto sulla riva al mare, dove gli rubano anche le scarpe. Assistito amorevolmente dalla moglie di un poveraccio, che vive in un container, si riprende, ma ha perduto la memoria. Una militante dell’Esercito della Salvezza lo spinge a riprendersi, ma per lui – senza nome e documenti – non c’è né lavoro, né assistenza sociale. Coinvolto, casualmente in una rapina in banca, messa in atto da un imprenditore fatto fallire da quell’istituto di credito, finisce in prigione. La sua foto, diffusa dai giornali porta ex – moglie a riconoscerlo: ora ha un nome e un passato e può ricostruirsi una vita con la suffragetta generosa e sola.
Queste poche note non danno neppure una pallida idea del film, la cui forza è in una serie di “gag fredde”, una più esilarante dell’altra. E’ un susseguirsi di graffiate al perbenismo, all’ottusità, alla volgarità della società finnica – ma non solo di questa si tratta – che fa ridere e riflettere. Lo stile del film muove attorno ad una fotografia netta e precisa, costruita in modo magistrale. Tutto si basa, in ultima istanza, sull’esasperazione dei contrasti e sulla loro trasformazione in “norme di vita”. Ci sono il cane, presentato come ferocissimo, in realtà affettuoso, lo Stato provvidenziale che diventa un feroce aguzzino quando se ne ha veramente bisogno, i poveri che prosperano su chi ha ancora meno di loro. Un mondo in cui anche l’amore è freddo e solitario, come la realtà che lo circonda, ma rimane il solo approdo possibile. Un film davvero bello e forte.
di Umberto Rossi