Canicola (Hundstage)
Due autori non fanno una scuola, tuttavia gli austriaci Seidl e Hanecke sono accomunati non solo dallo stesso risentimento verso il proprio paese, ma anche dalla scelta di un linguaggio il più possibile aderente alla realtà, ossia un realismo che svuota i personaggi dell’anima denudandoli senza ricorrere alle modalità dell’analisi psicologica, che il pubblico in un certo senso mostra di esigere sempre più come supporto interpretativo che come codice estetico.
In Canicola (2001) infatti è il corpo, sia esso grasso, rugoso, sudato eccitato o violato, l’elemento più esposto, più compromesso; in altre parole lo strumento delle reazioni emotive e delle esigenze fisiologiche circondato e in fondo oppresso da un paesaggio di cose domestiche, famigliari, quotidiane e pubblicitarie, ossia la non-città: il suburbio, la strada-supermarket e il supermarket con il reparto orge. Dentro questo paesaggio modulare, ripetitivo, anche il più semplice gesto può risuonare come osceno.
Maestro della tragedia “che non accade mai pur essendo sul punto di accadere“, il giovane Seidl non è certo un nuovo Werther mitteleuropeo, ma un cinefilo che ha assimilato in una sola “visione” Altman. Waters, Ciprì e Maresco, pur tuttavia calando tali riferimenti in una scelta stilistica precisa e in un contesto umano antropologicamente definito. I suoi “short cuts” provocatori e tranquilli al tempo stesso rimandano ad un punto di rottura che non avviene mai suggerendo una totale assenza di risoluzione, sempre più tendente alla negazione della fiction. Se non fosse per i corpi seminudi straziati dalla calura estiva (che Seidl utilizza in funzione espressiva pensando anche a certa pittura iperrealista americana) l’idea dell’ambientazione suonerebbe un poco limitata, quasi che la presunta schizofrenia dei personaggi-presenze dipendesse esclusivamente dalla temperatura atmosferica. Un’altra allusione cinefila? …. E’ il paesaggio stesso ad inghiottire le figure che lo compongono nella loro fondamentale inutilità. Ciascuna di esse si rivela capace di tradimenti, violenze, sadismi e perversioni che lo sguardo filmico, impassibile di Ulrich Seidl traduce in segnali di una geografia di massa che è soprattutto allarmante normalità.
di Maurizio Fantoni Minnella