La vita accanto
La recensione di La vita accanto, di Marco Tullio Giordana, a cura di Gianlorenzo Franzì.
La follia e il corpo della donna (spesso abusato) che si avvolgono intorno alla verità storica dei fatti: il cinema di Marco Tullio Giordana si muove intorno a questi due poli. Da La Meglio Gioventù a Sanguepazzo, fino a Nome di Donna, quello che interessa a lui è indagare ruoli sociali e abusi di potere, individuando nella follia la via di scampo -la via laterale– oppure lo spettro della ricerca identitaria: La vita accanto allora, dopo il dimenticabile e fin troppo televisivo Yara e il fuori fuoco film con Capotondi del 2018, sembra quasi un compendio delle sue ossessioni e delle sue visioni, per di più servite dalla scrittura di Marco Bellocchio in sceneggiatura. Una mano invisibile ma non tanto che si avverte nelle sequenze più oniriche, quelle più buie, immerse in una casa popolata da sentimenti così forti da attaccarsi violentemente agli oggetti e alle persone.
E di quel cinema vivo e pulsante (Sanguepazzo è il più rappresentativo, forse il più sottovalutato proprio per la sua carica anarchica in fase di ideazione e personalizzazione) ci sono numerose tracce, portate avanti da un cast efficace: Sonia Bergamasco c’è e si vede ma cade spesso nella retorica dei gesti, Valentina Bellè è forse l’interprete migliore nel restituire un personaggio soffocante, velenoso. Ma queste tracce si perdono e si confondono in un’opera che sembra volere tastare territori nuovi per raccontare vecchi temi: la deriva horror, le suggestioni oscure, sono una contaminazione che viene da Bellocchio ma che riesce a rivitalizzare quello che, in altri segmenti, sembra invece un cinema fin troppo assuefatto ad un immaginario televisivo, che si perde nella didascalia, nello spiegone, nei passaggi inutilmente esposti o inutilmente sprecati (non si capisce a cosa serva l’ultima sequenza dove Beatrice Barison, la Rebecca ventenne, arriva in Nord Europa; né perché si spreca la folgorazione notturna dell’assalto della mamma Maria alla figlia dodicenne), fino ad un finale inspiegabilmente consolatorio, inespressivo, “miracoloso”, anche dannoso per il nucleo teorico del film.
È per questo che La Vita Accanto sembra un film diviso in due, poco coerente o poco coeso, che se da una parte offre spiragli narrativi nuovi al Giordana narratore, dall’altra appanna il suo sguardo irrigidendo la fluidità necessaria alla storia.
di Gianlorenzo Franzì