Alien: Romulus

La recensione di Alien: Romulus, di Fede Alvarez, a cura di Gianlorenzo Franzì.

Di franchise è pieno il cielo di Hollywood (e non solo, ovviamente), eppure sono davvero pochi quelli che sono riusciti a moltiplicare i film mantenendo coerenza ma soprattutto un certo livello di qualità: e Alien è tra questi.

La creatura ideata da Giger e protagonista del capolavoro assoluto di Ridley Scott è riuscita a passare indenne anche a due crossover multimediali (anche se Alien VS Predator e il suo seguito sono più film sui predatori Yautja piuttosto che sullo Xenomorfo) facendosi coccolare da autori come Cameron, Jeunet e Fincher fino a tornare nelle mani del suo legittimo creatore, Scott.

E in un certo senso, volendo inventarsi una lettura metatestuale, Alien: Romulus è un po’ la consacrazione di tutto questo, perché il bel film di Fede Alvarez riesce a riprendere un po’ di tutto quel materiale (Alien³, il newborn, la guerriglia in salsa militare…) ma lo fa con mano lieve senza dimenticare che è lui che tiene le redini. E infatti, nonostante infarcisca Romulus di rimandi alla saga che vanno dalla semplice iconografia fino al cromatismo, Alvarez mostra che quello che aveva lasciato intravedere nei suoi film precedenti erano proprio la mano e lo stile di un grande regista, e porta a casa uno dei migliori film del franchise che non deve niente a nessuno.

Romulus si inserisce senza sforzo nella cronologia ufficiale tra il capostipite e il sequel di Cameron, sia dal punto di vista narrativo che nel paratesto: dai corridoi bui e lunghi come le arterie di Alien si scivola nei fucili di nuova generazione di Aliens, ma niente è sacrificato dal punto di vista della trama, della resa, della tensione, perché il quinto film di Alvarez è un horror che incolla alla poltrona e lo fa con onestà e vigore, rinunciando -volontariamente- alla CGI e mostrando la matericità del cinema e dei corpi su cui posa lo sguardo. In questo senso, è magistrale come sappia riprendere le suggestioni sessuali gigeriane senza scadere né nella semplice copia né nel pruriginoso: la Creatura Xenomorfa riprende le sue sembianze traslucide e bavose per strisciare nei cunicoli del nostro subconscio, tra lampi epifanici e parti osceni, facendosi omaggio pulsante di carne e sangue ad una mitologia visiva da saccheggiare con onestà per rimettere in circolo visioni e funzioni.


di Gianlorenzo Franzì
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