La vendetta di un uomo tranquillo

Assomiglia al suo protagonista il film di Raul Arevalo: è asciutto, di poche parole, apparentemente dimesso, mentre cova dentro una rabbia fortissima e deflagrante, una forza che sorprende, colpisce (e, si parla sempre di quello che accade sullo schermo, inesorabilmente punisce). Tarde para la ira (Tardi per la rabbia), infelicemente tradotto in italiano con La vendetta di un uomo tranquillo (titolo che svela troppe cose della trama), è un’originale e riuscita variazione spagnola sul tema del revenge movie, è un thriller teso, sobrio, spoglio e realistico nelle ambientazioni, credibile nella rappresentazione dei personaggi e delle loro emozioni primordiali, intenso e sorprendente.
E dire che si tratta di un’opera prima, firmata da un giovane attore (fattosi notare ad esempio in La isla minima di Alberto Rodriguez, un altro buon thriller iberico) che per il suo suo esordio alla regia ha scelto di lavorare su un genere già sperimentato come interprete e con attori già al suo fianco come Antonio de la Torre. Vincitore di quattro meritatissimi premi Goya (gli Oscar del cinema spagnolo), il film di Arevalo è stato anche in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, nella sezione Orizzonti, nella quale è stato premiata la protagonista femminile Ruth Diaz.
La storia comincia con una rapina finita male. Ci scappa il morto, tutti i malviventi riescono a fuggire, tranne uno, Curro, l’autista della banda. Curro passa in galera otto anni, tace i nomi dei complici, tiene duro per amore della compagna Ana. Grazie a un regime carcerario che permette incontri intimi per i detenuti diventa padre e vive per il momento in cui avrà una vita normale con Ana e il loro bambino. Ana, bellezza magra e nervosa, inquieta e con lo sguardo triste, lo aspetta paziente per otto anni. Finché, quando mancano pochi giorni alla scarcerazione del suo uomo, Ana si lascia andare a una notte di passione con José, un tipo silenzioso e misterioso, certamente benestante. E potrebbe essere molto più di un’avventura. Ma Curro esce dalla prigione, sente che Ana è distante, irrequieta e si mette in allarme. Non sa che il peggio per lui deve ancora arrivare e che la gelosia sarà l’ultimo dei suoi problemi, perché José è pronto a trascinarlo all’inferno.
Pur avventurandosi in un genere abbondantemente frequentato dal cinema, americano e non solo, Tarde para la ira sceglie sempre la strada meno scontata, rinuncia agli stereotipi, agli effettacci, alle scene madri. Esemplare il momento in cui José racconta la tragedia che lo ossessiona: il protagonista è ripreso da lontano, mentre è disteso a letto nella penombra, a malapena si vede il suo volto nello specchio, si sente solo la sua voce ed è abbastanza per dare i brividi. I dialoghi sono asciutti e indovinati, la sceneggiatura non perde un colpo, la regia è sobria e tesa, gli attori sono in stato di grazia, risultano perfetti per i loro personaggi senza bisogno di virtuosismi. Impressionante è la prova di Antonio de la Torre, su cui sguardi si regge gran parte del film. Ruth Diaz è una affascinante Ana, fragile seduttrice e Luis Callejo restituisce con efficacia lo stupore e insieme la vitalità del suo personaggio. Scenografia, costumi, scelta dei luoghi: tutto contribuisce a dare all’intreccio una calda e malinconica verosimiglianza, una ambientazione spoglia e accattivante tra la periferia di Madrid e la campagna circostante.
TRAMA
Curro sta per uscire di prigione dopo otto anni. E’ stato condannato per una rapina, mentre i suoi complici l’hanno fatto franca. Non vede l’ora di ricominciare una nuova vita con la compagna Ana e il loro bambino. Ma Ana ha appena conosciuto José, un uomo taciturno che le gira intorno da parecchio tempo e che potrebbe darle la serenità tanto desiderata. Fra Ana e José scoppia la passione. Ma non è questa la minaccia peggiore alla serenità di Curro. L’uomo, appena fuori dal carcere, si ritrova dentro una spirale di violenza alla quale non potrà opporsi.
di Anna Parodi