Il segreto

A una settimana dall’uscita de Il Viaggio (The Journey, 2016) appare sui nostri schermi un altro film irlandese, e anche questo racconta, seppure come tema minore, la realtà di quel paese in un momento storico importante.
Nick Hamm si era occupato dell’incontro tra due nemici implacabili come il reverendo Paisley e Martin McGuinness, ora si parla dell’Irlanda all’inizio seconda guerra mondiale, indirettamente attraverso gli scontri tra cattolici e protestanti.
L’omonimo romanzo da cui la sceneggiatura è tratta era ambientato durante la guerra civile degli anni ’20 – ’30 e dava grande importanza agli scontri tra le due parti. Ma portando tale argomento all’interno di un conflitto di questa portata la vicenda finisce per perdere di spessore ed interesse.
La protagonista del romanzo ha cento anni e si comporta in maniera differente dall’eroina del film, persona anziana rappresentata attraverso momenti di apparente pazzia e di flash-back che ci portano agli anni della sua gioventù.

Gli sceneggiatori si sono prese molte libertà e hanno ridotto Il segreto a un melodramma pensato per ottenere successo internazionale, inserito nel target degli appassionati delle soap opera.
Si racconta che Rose fugge dall’Irlanda  in guerra, mentre questa parte non esiste nella pagina scritta. Si aggiungono personaggi, si semplifica fin troppo lo svelamento del segreto, riducendolo ad un momento consolatorio che suona molto da lieto fine forzoso.

La donna vive il dramma di un figlio avuto da un giovane tabaccaio partito volontario per la guerra, trasformatosi in valente pilota e abbattuto a pochi metri dalla casa dove lei si è rifugiata dopo che è stata cacciata dal villaggio per suo presunto interesse sentimentale verso un prete. L’incontro con l’uomo amato ha una casualità che lascia perplessi, così come non convince quando l’uomo – curato dalla giovane innamorata di lui – vuole tornare tra i suoi compagni e sfodera una perfetta divisa che nelle scene precedenti non aveva. Questo personaggio, basilare per la vicenda, sembra quasi visto solo da lei e le si ripresenta come “fantasma” varie volte. Questo è un dubbio che permane per tutto il film, ma non un difetto, e aiuta a seguire con più interesse quanto accade sullo schermo.

In un film che vuole piacere troppo a tutti, manca il vero interesse, la capacità di coinvolgere realmente, il contatto con realtà sociali e politiche sicuramente utili all’economia dell’opera. La figura del cattivo, ovviamente appartenente all’altra fazione, è mal delineata e appare più grottesca che minacciosa. Il dubbio, lasciato volutamente nello script, è che tutta la vicenda che noi conosciamo attraverso il racconto della donna, possa essere una sua interpretazione che le permette di giustificare se stessa e di vivere in pace con la propria coscienza.

Dirige Il segreto Jim Sheridan, valido autore che molto ha lavorato per Hollywood e che per questo film è tornato in Irlanda. Tra le opere dedicate al suo paese, ricordiamo il riuscito Nel nome del padre (In the Name of the Father, 1993) e The Boxer (1997). Ma è più noto per il suo film del debutto Il mio piede sinistro (My Left Foot: The Story of Christy Brown, 1989), vincitore di due Oscar, premio a cui lui è stato candidato 6 volte con una produzione cinematografica che racchiude solo 12 titoli.

Con queste premesse, ci si domanda come mai, anche in veste di produttore e co-sceneggiatore, si sia imbarcato in questa avventura tanto discutibile. Primo film da lui girato in digitale, seguiva il deludente thriller Dream House (2011) che lo aveva fatto un po’ allontanare dal cinema per dedicarsi alla televisione. Probabilmente, anche scegliendo tra gli interpreti noti attori d’oltreoceano, ha tentato di creare un prodotto di respiro internazionale che gli permettesse di tornare saldamente sulla cresta dell’onda. Così non è stato, con una distribuzione che non ha raggiunto gli USA e che permetterà al film, finito di girare a Sligo in Irlanda oltre due anni orsono, di essere circuitato in Gran Bretagna solo nella seconda metà di maggio.

Inizialmente, come regista era stato pensato a Thaddeus O’Sullivan con una sceneggiatura di Johnny Ferguson; per i ruoli principali a Jessica Chastain e Vanessa Redgrave, Jonathan Rhys Meyers e Jeremy Irons. Rimasta solo la Redgrave, gli altri sono stati sostituiti da Rooney Mara, Theo James, Eric Bana e Jack Reynor.
Il lavoro fatto da Johnny Ferguson è stato completamente rielaborato dal regista e, quindi, è difficile capire chi abbia pensato le parti più interessanti e chi quelle meno riuscite.

Vanessa Redgrave è brava e convincente, donando al suo personaggio un lancinante dolore ma anche orgoglio e umanità. La statunitense Rooney Mara, con due Nomination agli Oscar, è quasi sempre credibile nel rendere Rose giovane e con tanta voglia di vivere, ma si presenta fin troppo perfetta nel modo di vestire, con un trucco da serata di gala sul viso, che mai la aiuta ad essere completamente convincente nelle scene più drammatiche.

Eric Bana riesce a fare dimenticare Hulk e propone in maniera onesta il dottore che crede alla storia dell’anziana e cerca di aiutarla contro tutto e tutti. Theo James è il prete che sente la voce divina ma ascolta anche le vibrazioni del corpo e del cuore. Jack Reynor, invece, è il pilota, interpretato senza onore né infamia, compagno di Rose e forse suo marito, padre del neonato che mai vedrà.

In definitiva, si capisce ben poco della guerra rappresentata solo da qualche aereo in volo e da un bombardamento che fa fuggire Rose da un cinema; e ancora meno si comprende delle fazioni contrapposte in Irlanda. Ma, forse, non era interesse dei realizzatori fare divenire questi temi, precipui nel romanzo pubblicato nel 2008 da Barry Sebastian, momenti narrativamente importanti del film.

 

TRAMA

Rose è donna molto anziana che ha passato più di cinquant’anni della sua vita in manicomio, accusata di avere ucciso il suo neonato. Durante gli anni vissuti in istituto, la donna utilizza una Bibbia per fare una specie di diario, in cui parla anche del figlio appena nato e del suo amore per aviatore da lei conosciuto quando lui lavorava in un negozio di tabacchi nel paesino dove si era trasferita.


di Guido Reverdito
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