Kinds of Kindness

La recensione di Kinds of Kindness, di Yorgos Lanthimos, a cura di Paola Dei.

Il cineasta greco Yorgos Lanthimos torna in sala con il film Kinds of Kindness sceneggiato insieme a Efthimis Filippou, dopo il successo ottenuto alla notte degli Oscar con il film Povere Creature!, che si è aggiudicato quattro statuette rispettivamente per miglior attrice a Emma Stone, miglior scenografia a James Price, Shona Heath e Zsuzsa Mihalek, migliori costumi a Holly Waddington e miglior trucco e acconciatura a Nadia Stacey, Mark Coulier e Josh Weston.

Girato a New Orleans mentre stava montando proprio il lavoro precedente, chiamando nuovamente a sé Emma Stone e Willem Dafoe, accompagnati da Hong Chau, Joe Alwyn, Margaret Qualley, Mamoudou Athie, Hunter Schafer e Jesse Plemons (che a Cannes si è aggiudicato la Palma d’Oro per la miglior interpretazione maschile) il film, epurato di ogni sentimento, urticante e privo di calore, fa emergere un Lanthimos sornione e compiaciuto della sua capacità di provocare. Il cineasta greco confeziona un lavoro algido e con significati complessi, che inducono lo spettatore a cercare strampalate congetture nel tentativo di trovare un perché a scene raccapriccianti.

Inevitabile l’accostamento a Saló o le 120 giornate di Sodoma di Pier Paolo Pasolini, non foss’altro per le emozioni nauseanti che entrambi i registi riescono a indurre. Kinds of Kindness, fra metafore, simboli e allegorie, evidenzia le peggiori storture della società. Dipendenze, credenze, deliri paranoici raccontati in tre cortometraggi apparentemente indipendenti fra di loro. Tre paradossi intorno alla gentilezza, introdotti dalla sigla R.M.F declinata nel primo capitolo in The Death of R.M.F., una metafora contro il capitalismo che ci mostra come l’essere umano sia disposto a cedere la propria libertà in cambio di una vita comoda fino a giungere ad un punto di non ritorno. Quasi una parodia moderna del Faust, che cede l’anima al demonio in cambio di passioni ed emozioni. Qui il ruolo salvifico di Margherita possiamo ritrovarlo in Emma Stone che anziché liberare Faust e redimerlo, gli offre il pretesto per riallacciare un patto perverso.

Nel secondo capitolo, la sigla è declinata in R.M.F. Is Flying, dove un poliziotto che credeva di aver perduto la moglie, non la riconosce quando ella torna a casa e le chiede di soccombere a prove di cannibalismo sempre più estreme e raccapriccianti. Nel terzo capitolo la sigla è declinata in R.M.F. Easy a Sandwich dove Emma Stone interpreta una donna che cerca qualcuno con poteri sovrannaturali.

Tre storie, tre diverse e tre stili di gentilezza: un trittico scandito da una musica martellante e ripetitiva. Tutto sembra ruotare intorno a una sciarada cabalistica dove il numero tre assume significati particolari. Secondo la Kabbalah, infatti, il numero Tre è associato alla terza lettera dell’alfabeto ebraico: Ghimel. La forma della lettera richiama la figura di una persona nell’atto di correre, come se mettesse il piede in avanti per lo slancio. Si tratta dell’origine del movimento, rappresenta la spinta ad uscire da se stessi, dalle proprie limitazioni che la dualità ci propone di continuo. La Kabbalah sembra infatti aver privilegiato la legge del ternario. Tutto procede necessariamente secondo un ritmo di tre che fanno un solo punto in ogni atto. Si distinguono in effetti il principio che agisce, causa o soggetto dell’azione. L’azione di questo soggetto, il suo verbo. L’oggetto di questa azione, il suo effetto o il suo risultato. Questi tre termini sono inseparabili e si necessitano reciprocamente.

Probabilmente non sapremo mai se Lanthimos ha attinto ai significati esoterici della Kabbalah o se invece ha semplicemente voluto provocare ma certamente, con un coraggio e una proverbiale indipendenza, fregandosene dei giudizi di pubblico e critica, ha trovato un modo per far parlare di sé senza compiacere ma compiacendosi.


di Paola Dei
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