Il re di Napoli – Storia e leggenda di Mario Merola

La recensione di Il re di Napoli - Storia e leggenda di Mario Merola, di Massimo Ferrari, a cura di Ignazio Senatore.

Per molti è stato solo il cantore di una Napoli plebea, folkloristica e lazzarona; per altri, una vera e propria leggenda. Il doc Il re di Napoli Storia e leggenda di Mario Merola, per la regia di Massimo Ferrari, rende omaggio all’indiscusso re della sceneggiata napoletana.

Un genere nato agli inizi del Novecento, che traeva linfa dalle canzoni di Libero Bovio e Salvatore Di Giacomo, e che basava il successo su una struttura narrativa, facilmente riconoscibile. Il canovaccio, immutabile e serializzato, ruotava, infatti, intorno a tre personaggi (il buono, la donna e il cattivo) e terminava con il Bene che trionfava, sul finale, sul Male.

Merola non solo ha avuto il merito di rispolverare il genere ma, a teatro, grazie alla sua presenza scenica, interpretando il ruolo del gigante buono, riusciva a scatenare le emozioni nel pubblico. Gli spettatori, infatti non solo piangevano e si commuovevano, ma si immedesimavano al tal punto nella vicenda, che “il cattivo” di turno era immancabilmente coperto di ingiurie e insulti. Marisa Laurito, ricorda, infatti, come una volta, fu sfiorata al viso da un coltello, lanciato da uno spettatore, indirizzato all’attore che interpretava il ruolo de “’o malamente”.

Figlio del popolo, Merola, era in grado di riempire i teatri, all’estero come in Italia. Cantando “Lacrime napuletane”, rievocava, ad esempio, nei tanti immigrati, partiti con le “valigie di cartone”, per il Nord Italia o per l’estero, quel sentimento di struggente nostalgia per essere era stati costretti ad abbandonare la terra natia. Con “O zappatore”, rispolverava, invece, l’amore per la madre e la famiglia, e suggellava l’onestà e la genuinità di quei contadini che avevano lavorato duramente nei campi, per garantire un futuro migliore ai figli.

Il ritratto che emerge è quello del protagonista di tante pellicole di successo, prodotte tra gli anni Settanta e Ottanta, ma, soprattutto, quello di un artista amatissimo, generoso e instancabile, in grado di interpretare, a teatro tre sceneggiate al giorno. Commentano la sua figura, Maurizio De Giovanni, Federico Vacalebre, Goffredo Fofi, Valerio Caprara ed Ernesto Mahiueux. Snocciolano, invece, dei gustosi aneddoti Nino D’Angelo e Francesco, Roberto e Loredana Merola, figli del grande cantante-attore.

C’è chi afferma che Merola è stato vittima di una sorta di snobbismo culturale; chi, invece, ridimensiona la sua figura, e lo accusa di aver avuto successo, solo negli strati sottoproletari e puntato sulla retorica dei sentimenti. Il doc è ricco, di filmati di repertorio, ma anche di sorprese. Gigi D’Alessio che, giovanissimo, lo ha accompagnato in giro negli spettacoli, per tre anni al piano, svela, ad esempio, come Merola, un vero e proprio talento naturale, cantava, senza conoscere le note.

Ma, a ben vedere, la novità maggiore è nel racconto di Marcello Garofalo. Il critico cinematografico napoletano svela, infatti, come Merola, mostrando una modernità inaspettata, non solo accettò di farsi filmare, mentre legge la poesia Sul lavoro di Burroughs di Allen Ginsberg, ma si lasciò immortalare in quattro scatti che rendevano omaggio a dei film simbolo; L’Atalante di Jean Vigo, Ultimo tango a Parigi di Bernardo Bertolucci, Querelle di Reiner Fassbinder e Over the top di Menahem Golan. Ad arricchire il doc alcuni filmati animati e un brano cantato dalle Ebbanesis. Il doc, prodotto da Big Sur in collaborazione con Rai Documentari e in collaborazione con Mad Entertainment di Luciano, Carlo e Lorenza Stella e Maria Carolina Terzi, è presentato in questi giorni alla Festa del cinema di Roma.


di Ignazio Senatore
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