Il critico – Crimini tra le righe

La recensione di Il critico, di Anand Tucker, a cura di Guido Reverdito.

Nella Londra degli anni ’30 il teatro era la forma di intrattenimento regina. Con tutto il contorno del caso. Ovvero compagnie con pletore di attori e maestranze a libro paga, pubblico dell’alta società sempre partecipe e affezionato, ma anche critici potenti come sovrani capaci di decretare successo o disfatta grazie solo alla scure brutale delle proprie penne. E questo thriller in costume compassato e sfocato non ostante una buona idea di partenza ruota appunto intorno al principe dei critici dell’epoca, un ormai attempato Jimmy Erskine abituato da decenni di tirannia critica a dominare la scena del giornalismo di settore, potendo cambiare i destini di opere, attori e autori anche solo con una delle sue recensioni al veleno.

Ma tutto precipita all’improvviso quando la testata su cui ha scritto da sempre (ovvero The Daily Chronicle) passa dalle mani del defunto proprietario in quelle del figlio, il marchese David Brooke, deciso a imporre una nuova linea editoriale che abbracci maggiormente determinati valori patriottici e allo stesso si distanzi dalle posizioni di estremismo fanatico dell’Unione Britannica dei Fascisti di Oswald Mosley, invitando i propri redattori ad avere atteggiamenti meno aggressivi e più pacati. Tutti inclusi. Compreso anche Erskine (non certo aiutato dalle proprie inclinazioni omosessuali all’epoca reato nell’Inghilterra bacchettona) di cui la nuova proprietà non ama l’acredine biliosa con cui troppo spesso si accanisce sugli spettacoli che recensisce, facendoli a brandelli per il solo gusto di alimentare le dimensioni del proprio ego.

L’ennesima e acidissima sua stroncatura della bella Nina Land, astro nascente del teatro londinese, gli costa però cara: arrestato per ubriachezza e comportamenti sessualmente inappropriati, offre a Brooke (che della fascinosa Nina Land è anche segretamente innamorato) il pretesto per licenziarlo in tronco. Ma Erskine non si arrende. Promette all’oggetto delle proprie stroncature di convertire attacchi caustici in lodi sperticate, chiedendole però in cambio di usarla come grimaldello per poter ricattare Brooke (cui la ragazza si dovrà concedere) costringendolo a riassumerlo al giornale. Ma come tutti i piani perfetti, anche questo non tarderà a mostrare imprevedibili difetti, convertendo la trama da grand guignol in tragedia con contorni criminali. Ovvero quei “crimini tra le righe” suggeriti dallo stucchevole sottotitolo ideato ad hoc dalla distribuzione italiana.

Da una parte risulta efficace il ribaltamento di prospettiva con cui di solito il cinema ha messo al centro del suo obiettivo il teatro: in questo settimo lungometraggio di un autore inglese di adozione ma nato in Thailandia da padre indiano e madre tedesca, l’attenzione si sposta dal palcoscenico a chi quello spazio angusto e dichiaratamente falsa imitazione della realtà lo scruta per giudicarne l’attendibilità. Ma dal momento in cui la sceneggiatura accetta la scommessa di virare verso le pieghe di un thriller troppo prevedibile per risultare avvincente, tutto si sfoca e l’interesse di quell’approccio con ottica ribaltata perde progressivamente forza e peso.

Sospeso tra l’ambizione del ritratto d’ambiente (la Londra alto borghese e nobiliare a metà tra le due guerre) in cui incastonare quello di un individuo troppo larger than life per accettarne gli angusti confini, e il thriller da camera con atmosfere d’antan alla Agatha Christie, questo libero adattamento del romanzo Curtain Call scritto dieci anni fa da Anthony Quinn fallisce proprio là dove regista e sceneggiatore avrebbero voluto trovare i puntelli cui ancorare il proprio soggetto rendendolo credibile e avvincente. Se gli esterni della Londra degli anni ’30 ricostruiti in studio sono troppo fasulli per essere accettati come lo sfondo vivo di una vicenda che tanto punta su quel ritratto d’ambiente socioeconomico, il Jimmy Erskine regalato da un mostro sacro del cinema e del teatro quale Sir Ian McKellen (Magneto e Gandalf in diverse saghe per il pubblico che non ha avuto modo di apprezzarne l’immenso talento sui palcoscenici scespiriani) diventa troppo presto una macchietta quasi fastidiosa per le insistite gigionerie da mattatore in cui questo grande professionista si ingolfa per rendere memorabile il proprio personaggio.


di Guido Reverdito
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