Sotto le foglie
La recensione di Sotto le foglie, di François Ozon, designato Film della Critica dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani – SNCCI.

Sotto le foglie di François Ozon distribuito da BIM Distribuzione e in uscita al cinema il 10 aprile è stato designato Film della Critica dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani – SNCCI con la seguente motivazione:
«Con la consueta sensibilità Ozon descrive un paesaggio geografico e umano all’apparenza soave, dove le persone al contrario prima o poi mostrano comportamenti inaspettati e sorprendenti, facendo emergere, sotto le foglie, il panorama problematico dei rapporti familiari e amicali, con la vicenda che si tinge di giallo, ambiguamente tra gesti amorevoli e sospetti atroci».

Michelle è una vedova graziosa e ben tenuta più vicina agli ottanta che ai settanta. Vive in un pittoresco paesino di campagna in Borgogna dove fa lunghe passeggiate nei boschi circostanti andando in giro per funghi che poi cucina. Le sue grandi passioni sono l’amicizia di lunga data con Marie-Claude, il giardinaggio e l’affetto per il nipotino Lucas, figlio della figlia Valérie alla quale la legano invece grovigli di storie tese le cui origini emergono in superficie solo col procedere dei minuti.
Questo quadro bucolico della nonnina da spot del Mulino Bianco non tarda però a riempirsi di crepe. Sotto le foglie (come recita il titolo scelto per la distribuzione italiana in luogo del meno evocativo originale che con Quand vient l’automne metteva simbolicamente in campo la stagione atmosferica usata per definire quella interiore in cui quasi tutti i personaggi si dibattono come dentro una trappola senza via di scampo) covano le braci di un passato pieno di scheletri negli armadi della mente destinati a far implodere il presente nel momento in cui quasi tutti i nodi vengono al pettine.
Nulla è infatti come sembra. Basta sollevare lo strato protettivo delle già citate foglie autunnali per scoprire che disagio e rancore conditi da una spruzzata di mistero sono il volto vero dell’idillio apparente: Valérie (madre single separata dal marito che ha preferito un lavoro a Dubai da dove a un certo punto riappare offrendo con scarso successo al figlio Lucas la chance di andare a vivere con lui) non perdona a Michelle l’essere stata una prostituta per tutta una vita; la paciosa Marie-Claude ha un male incurabile destinato a portarsela via prima che il film finisca, ma soprattutto un figlio fresco reduce di galera il cui tentativo di reinserimento nella presunta sanità della bucolica paesana si andrà a intrecciare drammaticamente con la misteriosa morte di Valérie. Che sulle prime viene rubricata come uno strano incidente domestico per poi rivelarsi qualcosa di tutt’altro tipo.
Ma anche la quiche che la madre le prepara la prima volta che vediamo le due donne interagire non è quel che vorrebbe essere: farcita di funghi che Michelle raccoglie nelle sue passeggiate nei boschi, la pietanza si rivela essere una torta al veleno che per poco non manda Valérie all’altro mondo, portandola a rompere ogni rapporto con la madre che lei crede abbia tentato scientemente di avvelenarla servendole dei funghi tossici per pranzo.
Sospeso a metà tra Chabrol e Hitchcock con lievi sfumature da tragedia greca corretta da neo noir, dopo le divagazioni fassbinderiane di Peter Von Kant e la ronde in giallo di Mon Crime, quest’ultima fatica del 58enne Ozon ne conferma ancora una volta la straordinaria capacità di saltabeccare da un genere cinematografico all’altro spiazzando pubblico e critica senza mai far sospettare che la sua creatività proteiforme fatta di continui cambi di registri e toni e naturale propensione ad affrontare a gamba tesa temi sempre scabrosi possa essere superficialmente rubricata come una poetica della confusione.
Dramma che cova sotto il tappeto metaforicamente protettivo delle foglie e della facciata per bene, questa algida discesa agli inferi della psiche umana è anche occasione per combinare il bilancio della generazione ormai nell’autunno della propria esistenza con l’impasse generazionale (figli e nipoti) di chi ha avuto cattivi maestri di Vita aggirandosi nell’incertezza di un presente cui manca il sollievo di un possibile futuro proprio perché vittime involontarie di chi ha trasmesso loro più vizi che virtù.
di Guido Reverdito