Iddu

La recensione di Iddu, di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, a cura di Mariangela Di Natale.

Spettri, uomini invisibili, un’alternativa alla cronaca reale in un film che punta tutto sull’irrealtà. Iddu, presentato in concorso a Venezia 81, dal 10 ottobre al cinema, terza opera di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza (Salvo, 2013 e Sicilian Ghost Story, 2017), si ispira liberamente a fatti realmente accaduti ma «rielaborati dall’immaginazione». Un biopic che fa luce sull’enigmatica personalità e il sistema relazionale di uno dei super latitanti della storia criminale italiana, Matteo Messina Denaro. “Iddu” è il soprannome con cui veniva chiamato l’ultimo padrino (interpretato da Elio Germano), otto ergastoli e solo otto mesi di carcere, dopo una latitanza lunga trent’anni, e morto il 25 settembre 2023.

Sicilia primi anni Duemila. Dopo aver scontato diversi anni in prigione per mafia, Catello (Toni Servillo), ex sindaco, conosciuto in paese come “il preside” torna libero ma senza lavoro e senza gli appoggi mafiosi di un tempo per i propri affari. Quando i Servizi Segreti italiani, coordinati dal capo Emilio Schiavon (Fausto Russo Alesi) e da una irascibile Rita Mancuso (Daniela Marra), gli chiedono di collaborare per catturare il suo figlioccio di battesimo Matteo (Elio Germano), Catello coglie l’occasione per rimettersi in gioco, iniziando una corrispondenza epistolare di pizzini con il ricercato numero uno in Italia. Anche se nessuno sa dove si trovi, sui muri degradati e abusivi del paesino siciliano, si legge che “u’ pupu c’è”. Matteo, costretto a essere “invisibile”, mai chiamato per cognome, vive praticamente segregato in una stanza messa a disposizione da Lucia (Barbora Bobulova), una donna che gli fa da cuoca, governante e segretaria, a cui detta e consegna pizzini, trascorrendo le sue giornate a completare un puzzle della Sicilia.

Piazza e Grassadonia, nel raccontare una vicenda di destini segnati nel solco della tradizione letteraria di Pirandello e Tomasi Di Lampedusa, come di Sciascia e Camilleri, mostrano un dramma mafioso (quello del boss) e una commedia grottesca (quella di Catello), di un mondo malavitoso ritualizzato da angolature surrealiste, visionarie e fiabesche. Una sceneggiatura kafkiana capace di far emergere con vigore, proprio in forza del farsesco del contesto, il lato tragico della vicenda. Viene sovvertita la narrativa criminale a cui siamo abituati e i personaggi malavitosi smitizzati sono presentati come miserabili, per nulla invidiabili e a tratti strampalati, che vivono giorni contati di vita inutile e non sanno fino a che punto verranno manipolati, come “pupi”.

E come avvisano i registi, «nel nostro film il latitante è il centro di una danza vorticosa di personaggi che nel sonno della ragione rincorrono sogni che finiscono sempre per trasformarsi in incubi. Incubi tragici e ridicoli». Iddu, un lungometraggio abbastanza ambizioso che non si limita a essere un ritratto sul boss latitante di Castelvetrano Matteo Messina Denaro, ma anche del meccanismo che rende possibile il suo potere, che punta a far emergere le falle e le incongruenze della giustizia italiana, un sistema sospeso tra incompiutezza e collusione da tenere in equilibrio precario ma vitale. La regia è il punto di forza del siciliano Fabio Grassadonia e del milanese Antonio Piazza, che sanno abbellire di realismo magico e pathos anche le scene più grette e meschine con la complicità del direttore della fotografia, Luca Bigazzi e con l’ottima colonna sonora composta da Colapasce.


di Mariangela Di Natale
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