La recensione di I ragazzi della Nickel, di RaMell Ross, a cura di Valeria Gennaro
La recensione di I ragazzi della Nickel, di RaMell Ross, a cura di Valeria Gennaro.

Tanti cineasti hanno voluto rappresentare sul grande schermo una corsa verso la libertà, che diventa forma di emancipazione. Ma la fuga dal riformatorio – il momento clou del film drammatico diretto da RaMell Ross – è degna di essere annoverata fra le più cariche di significato della storia del cinema.
I ragazzi della Nickel è un capolavoro cinematografico ambientato nella Florida segregazionista degli anni ’60, basato sull’omonimo romanzo vincitore del Premio Pulitzer e liberamente ispirato agli orrendi fatti accaduti in un riformatorio noto per abusi e maltrattamenti perpetrati per decenni ai danni dei giovani ospiti, nello specifico afroamericani.
Al centro del plot c’è un legame prezioso d’amicizia, che sboccia in un luogo di orrori e morte, e diventa la cura contro il dolore fisico e mentale di due giovani che si sostengono a vicenda e riescono a consegnarci il superlativo assoluto della presenza, l’aspetto più puro di questo sentimento: amare l’altro al punto di coglierne tutte le vulnerabilità e proteggerlo al momento opportuno. Turner ed Elwood non sono solo due adolescenti in pericolo, sono due giovani presenti l’uno per l’altro.
Il regista RaMell Ross invita anche a riflettere sulle persistenti disuguaglianze razziali, ma soprattutto azzera ogni calcolo e sfida le convenzioni cinematografiche, realizzando una pellicola di grande impatto, usando tecniche di racconto e visive coraggiose come l’uso della prospettiva in prima persona, e immergendo chi guarda, come pochi cineasti sanno fare, nell’esperienza diretta dei protagonisti.

di Valeria Gennaro