Hitchcock/Truffaut
Proiettato nelle sale italiane il 4, 5 e 6 Aprile, Hitchcock/Truffaut è un documentario unico e prezioso che racconta la storia e l’importanza di un libro che tutti gli amanti del cinema conoscono: Il cinema secondo Hitchcock, ovvero la lunghissima e ricca intervista del giovane François Truffaut – audace critico dei Cahiers du Cinéma prima ancora che eccellente cineasta – al genio del thriller Alfred Hitchcock.
Il regista Kent Jones ha già alle spalle un documentario sul cinema, girato assieme a Martin Scorsese: A letter to Elia, ovvero un omaggio di Scorsese al grande Elia Kazan, che fu per lui una sorta di padre cinematografico. Si muove dunque a suo agio nel cucire assieme brani di film, fotografie, interviste e pagine scritte, dando vita e corpo alla carta stampata, al pensiero, al ricordo. Perché il libro di Truffaut, edito nel 1962, fu per tutti – ed è ancora – un’imprescindibile lezione di cinema, come sottolineano i numerosi registi che intervengono nel film: David Fincher, Wes Anderson, James Gray, Paul Schrader, Olivier Assayas, Peter Bogdanovich, Martin Scorsese, Kyoshi Kurosawa, Arnaud Desplechin e Richard Linklater.
Attraverso le più amate pellicole di Hitchcock – da Gli Uccelli a Psycho a Vertigo – Kent si muove sul filo della riflessione dei due indiscussi maestri del cinema soffermandosi su argomenti diversi, senza tralasciare curiosi espedienti tecnici, come quello – efficacissimo – di inserire una lampadina dentro al bicchiere di latte (avvelenato?) che l’impassibile Cary Grant porta alla moglie ammalata in Il sospetto: il pubblico avrebbe dovuto focalizzarsi unicamente su quell’oggetto, che implicitamente insinua il sospetto e suggerisce inquietudine. Del resto – viene evidenziato da Schrader, Assayas e Desplechin – Hitchcock adora gli oggetti-feticcio: chiavi (che cosa aprono?), borse (che cosa contengono?), corde, manette. Sono oggetti che, come accade nei sogni, spesso si caricano freudianamente di valenze ambigue, nascoste, assumendo significati complessi.
Hitchcock/Truffaut riesce insomma nel duplice intento di restituire la grandezza dello storico libro-intervista e di appassionare e divertire gli spettatori. Ne viene fuori un ritratto dell’indimenticato regista inglese che non può che affascinare: il controverso rapporto con gli attori (che a volte si rifiutano di “ubbidire” al tirannico maestro); la straordinaria abilità nelle tecniche di ripresa e nella messa a punto dei meccanismi della suspance; la capacità di veicolare tematiche forti – erotismo, senso di colpa, morbosità – con un linguaggio semplice, nitido, rigoroso, raggiungendo un pubblico vasto, sempre coinvolto sul piano emotivo; la novità dirompente del suo fare cinema, che Truffaut fu il primo a individuare con chiarezza, scovando il genio nascosto sotto al “regista di genere”, o meglio sdoganando il cinema di genere – troppo spesso visto come prodotto di mero intrattenimento – e restituendogli la possibilità di essere, al contempo, cinema d’autore.
In conclusione, l’Hitchcock di Trauffaut è un regista che “scrive con la macchina da presa”, come voleva la teorizzazione di Alexandre Astruc sulla camera-stylo: un autore capace di comunicare, attraverso e oltre gli stilemi di genere, una visione peculiare del mondo, un senso delle cose. Se questa concezione oggi ci appare esatta e indiscutibile, è proprio grazie allo sguardo sincero ed entusiasta dell’enfant terrible della Nouvelle Vague Trauffaut, sguardo che a distanza di decenni viene condiviso a pieno tanto da chi fa cinema – i numerosi registi intervistati – tanto dal pubblico.
Trama
Il film ripercorre la realizzazione del famoso libro-intervista Il cinema secondo Hitchcock di François Truffaut, soffermandosi sui più noti lavori del cineasta inglese; a sottolineate l’attualità del testo, che è anche e soprattutto una grande lezione di cinema, troviamo numerose interviste a registi del calibro Martin Scorsese, Wes Anderson, Paul Schrader, Olivier Assayas e David Fincher.
di Arianna Pagliara