Bella addormentata
Il 9 febbraio del 2009 è di per sé una piccola data epocale nella recente e travagliatissima storia del nostro paese. Quella sera i medici della residenza sanitaria La Quiete di Udine decisero di interrompere la nutrizione artificiale che per 17 anni aveva tenuto faticosamente in vita Eluana Englaro, giovane donna lombarda finita in coma vegetativo nel 1992 a soli 21 anni a seguito di un grave incidente d’auto. Rimasta paralizzata in tutti gli arti e con lesioni cerebrali irreversibili, pur essendo di fatto uscita dal coma, la ragazza non era più stata in grado di interagire in alcun modo con l’esterno, finendo con l’essere alimentata artificialmente dai sanitari contro la volontà della famiglia.
Dopo esser divenuto un caso spinosissimo perché chiamava in causa l’atteggiamento dell’accanimento terapeutico dei medici contro la volontà dei familiari della paziente, ma anche le scivolose problematiche del fine vita e dell’eutanasia, proprio agli inizi del 2009 il dibattito intorno a tematiche tanto delicate catalizzò l’opinione pubblica finendo addirittura col costringere il Senato a votare un provvedimento d’urgenza che venisse incontro alle richieste della famiglia Englaro e permettesse di interrompere l’alimentazione artificiale.
Il film di Marco Bellocchio è ambientato proprio negli ultimi sei giorni di vita che precedettero la decisione – attesa e liberatoria – di cessare un calvario durato troppi anni e sfociato in un inatteso caos mediatico. Ma va detto subito che non si tratta né di una ricostruzione della vicenda che abbiamo riassunto per sommi capi, né di una scelta di campo a favore o contro determinate posizioni che in quei giorni rappresentavano la materia del contendere.
Animato come sempre da quel senso di sana indignazione civile e di vocazione all’impegno in prima persona che lo ha portato negli anni a interrogarsi su grandi temi e su questioni di vitale importanza nella Storia del paese, anche in questo caso Bellocchio parte da una vicenda di pubblico dominio per offrirne un ventaglio di possibili letture a vario livello, spostando la sua attenzione su temi che solo incidentalmente hanno a che fare con quello centrale del diritto all’eutanasia.
E lo fa scegliendo di mettere in secondo piano la vicenda di Eluana (il solo personaggio reale tra tutti quelli che diventano protagonisti di una vicenda corale a intreccio) per concentrarsi su tre storie parallele i cui sviluppi ruotano intorno al nucleo centrale della ragazza in coma e del dibattito che il suo caso ha scatenato, senza però mai prendere posizione in maniera decisa a favore o meno di una delle opinioni espresse dai vari personaggi ed emerse dalle situazioni narrate.
Ecco quindi il politico piacentino Beffardi (fenomenale nomen omen che dice tutto della visione che Bellocchio ha della politica nostrana degli ultimi anni) che, non ostante un sano passato di militanza socialista, è passato nelle fila del Pdl ed è chiamato a Roma a votare l’approvazione della legge proposta dall’allora in carica governo Berlusconi che avrebbe voluto vietare l’interruzione dell’alimentazione artificiale disperatamente richiesta dalla famiglia Englaro ma invocata anche dalla maggior parte dell’opinione pubblica.
Mentre lui è a Roma impegnato nel voto (ma anche in snervanti incontri extra parlamentari nei quali mette a nudo la propria coscienza dilaniata confrontandosi con colleghi di partito), la figlia Maria, convinta attivista cattolica, si reca di fronte alla residenza sanitaria La Quiete di Udine – dove la Englaro è tenuta artificialmente e testardamente in vita – per dimostrare in modo pacifico contro la decisione presa dai medici sulla scorta della volontà della famiglia. Una volta lì, incontra e si innamora ricambiata di un giovane attivista laico, che a Udine ci è andato per ragioni del tutto opposte.
Da un’altra parte del paese c’è poi la vicenda (la più vicina a quella “reale” di Eluana Englaro) di una celebre attrice teatrale che, decisa ad assistere la figlia in coma profondo, ha deciso non solo di abbandonare la carriera e l’attività professionale, ma di ritirarsi dalla vita recedendo in una sorta di limbo esistenziale e di attesa passiva di un miracolo che invoca con rabbia feroce e con il ricorso ormai quasi isterico alla preghiera.
C’è infine una terza storia, ambientata all’interno di un ospedale romano dove una ragazza tossicodipendente che avrebbe tutto dalla vita e potrebbe celebrarne appieno il trionfo in tutta la sua pienezza è invece votata a un percorso di autodistruzione. A curarla c’è un medico caparbio che fa il contrario dei colleghi della clinica friulana, ovvero tenta disperatamente di opporsi al cupio dissolvi che agita la mente sconnessa della giovane donna incaparbendosi nell’ostinata volontà di ridarle la voglia di vivere.
Complesso e articolato in questo sovrapporsi di vicende, il film di Bellocchio di fatto sfrutta la vicenda di Eluana Englaro per riflettere su temi che vanno aldilà dei soli interrogativi relativi al fine vita e all’eutanasia, ponendosi come una sorta di enciclopedia minima di riflessioni su aspetti nodali del pensiero quali il rapporto con l’idea della vita e della morte, il senso della coscienza individuale, l’etica un po’ facilona delle masse, la morale cattolica, l’impegno in prima persona in difesa di una qualsivoglia causa e la vuota pochezza della politica mai adeguata nella sua balbuzie cronica di fronte a questioni di capitale importanza. Bellocchio indaga e illustra senza mai prendere posizione o esprimere giudizi di merito sui quesiti che la sceneggiatura del suo lungometraggio fa emergere dalle interiorità lacerate dei personaggi.
Ma proprio per questo – vista le delicatezza del tema che fa da basso continuo sullo sfondo dei molti fili narrativi che si dipanano in maniera centrifuga rispetto al tema centrale della bella addormentata – il sovrapporsi delle vicende e la non perfetta riuscita di ciascuna di esse lascia un senso di insoddisfazione nello spettatore che forse vorrebbe da parte del regista una scelta di campo più decisa e meno ambigua e maggiore coesione e compattezza nell’amalgama delle vicende proposte.
A compensare questo parziale retrogusto amaro ci pensano però alcuni momenti di cinema altissimo (si veda, per esempio, la scena termale col confronto dialettico tra senatori in crisi di coscienza e una specie di loro psicanalista/super ego che ne analizza la fragilità ideologica e morale tra i fumi di un bagno turco), in grado da soli di riconciliare chiunque grazie al perfetto equilibrio che Bellocchio sa trovare tra l’impatto indelebile dell’immagine e le situazioni dialogate che ne sono l’alto e adeguato corrispettivo verbale.
Trama
Mentre il paese è dilaniato a ogni livello dal dibattito sull’interruzione della vita legato al caso di Eluana Englaro, tre vicende parallele legate in maniera più o meno diretta alla spinosissima questione si intersecano facendo da sfondo corale ai duri confronti ideologici e religiosi che agitano le coscienze.
di Redazione