A House of Dynamite
La recensione di A House of Dynamite, di Kathryn Bigelow, designato Film della Critica dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani – SNCCI.
A House of Dynamite, di Kathryn Bigelow, distribuito da Lucky Red e nelle sale dall’8 ottobre 2025 è stato designato Film della Critica dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani – SNCCI con la seguente motivazione:
Kathryn Bigelow mostra ancora una volta la sua maestria registica nel raccontare i venti minuti precedenti ad un (possibile?) attacco atomico negli Stati Uniti da tre angolazioni diverse, costruendo un complicato puzzle acustico e visivo. Teso e adrenalinico, il film descrive un evento per cui nessuno è preparato, dimostrando come la tecnologia più sofisticata non aiuti a fermare il pericolo. Un thriller che va oltre il racconto ammonitore, oltre la fantapolitica, per rivelarsi un’agghiacciante fotografia dell’esistente: qui, e ora.

La recensione
di Marco Lombardi
Kathryn Bigelow è un’autrice politica, si. In Strange Days è riuscita a preconizzare la nostra dipendenza dal mondo della virtualità informatica, oggi pane quotidiano dei social e dell’intelligenza artificiale; in Zero Dark Thrirty ha sottolineato come la vendetta, anche nei confronti di un terrorista sanguinario, Osama bin Laden, non sana il dolore, bensì ne aggiunge un altro a quello già esistente; in The Hurt Locker ha evidenziato quanto le guerre, anche quelle marchiate come giuste, finiscano per trasformarsi in una droga che impedisce ai singoli di vivere la quotidianità della famiglia. In questo A House of Dynamite, invece, Bigelow sottolinea quanto gli armamenti bellici, anche nel nome di un presunto diritto alla difesa, abbiano trasformato il nostro pianeta in una polveriera pronta a scoppiare, pure in presenza di un possibile errore informatico, o di un malfunzionamento di un missile nucleare partito per sbaglio.
È così che quando la città di Chicago viene minacciata da un ordigno che punta dritto verso di lei, il “dubbio” finisce per scatenare una serie di reazioni difensive a catena che possono mettere la parola fine al nostro pianeta. Si tratta di 20 minuti di terrore che vengono vissuti tre volte, da tre punti di vista: quello della situazione room, quello dell’esercito e quello della Presidenza degli Stati Uniti, che deve decidere in pochissimo tempo se schiacciare o no il fatidico tasto. Poco importa che tutti siano stati addestrati per vivere quel momento: la scelta sarà comunque emozionale, ed è resa da un montaggio frenetico e confuso, in cui il tempo reale viene dilatato e fatto confluire in un tempo atemporale dell’anima, che serve a sottolineare la frenetica confusione del nostro mondo. Una confusione che è assai simile a quella che viviamo noi gente comune quando, guardando un semplice telegiornale, osserviamo passivamente l’escalation dell’ennesimo conflitto di turno.
La scelta di un Presidente di colore buono ci riporta alla presidenza di Obama, anche se fisicamente i due non si somigliano affatto, come per dire che neanche un approccio potenzialmente pacifista ci può salvare, mentre quello che invece rimane scolpito nella mente è la festa di celebrazione della guerra di successione americana in cui i bambini vengono addestrati “giocosamente” alla guerra. Il Presidente che fugge da un evento educativo su di un campo di basket, invece, “addestra” la nostra futura umanità al sentimento costante della paura.
Il film finisce nel buio di una decisione che non sappiamo quale sarà, così obbligando lo spettatore a decidere se schiacciare o meno quel tasto, nel nome di un’ipocrita pace che ha tanto il sapore di una guerra “innocentemente” voluta da tutti quanti noi.
di Marco Lombardi