Incontro con Guillermo Del Toro – Festival Internacional de Cine en Guadalajara 2018

Il regista vincitore di due premi Oscar, autentico showman, ha animato masterclass e conferenza stampa alla trentatreesima edizione del FICG.

“Se non provi paura, se non hai timore mentre stai realizzando un film, probabilmente non riuscirai a donare emozioni nemmeno agli spettatori”. Questo è il primo segreto, secondo Guillermo Del Toro, per creare qualcosa che possa interessare e rimanere nella mente dello spettatore. Il vincitore di due premi Oscar era presente alla trentatreesima edizione del FICG, Festival Internacional de Cine en Guadalajara, dove l’Università gli ha intitolato una sala ipertecnologica che lui ha inaugurato in questi giorni. Autentico showman, ha animato masterclass e conferenza stampa non risparmiandosi e rispondendo in maniera sempre approfondita a qualsiasi domanda.

Contento per l’assegnazione degli Oscar a La forma dell’acqua (2017)?

Certamente, è davvero un’opera corale in cui hanno grande importanza tutti gli elementi, dalla fotografia al montaggio, dalla scenografia ai costumi, dalla colonna sonora a tutto il cast artistico. Il compito del regista è quello di assemblare ogni cosa per creare un’opera interessante.

C’è una formula per creare il film di successo?

Ritengo che il cinema non sia chimica tra vari elementi ma alchimia, una magia che si ripete ogni volta che si realizza qualcosa che possa considerarsi valida.

Pensa che sia il regista il responsabile di un’opera cinematografica?

Sì e no. Bisogna discutere tutti assieme per riuscire ad ottenere i risultati desiderati, ma è poi uno solo che prende le decisioni: è un onere e un piacere a cui è difficile rinunciare. Nella mia posizione c’è sicuramente un grande vantaggio: se ci sono diversità di opinioni… alla fine io ho ragione.

Lei è molto amico con altri registi messicani: tra di voi non c’è competizione?

L’unico che possa capire i problemi di un regista è un altro regista, ed è bello sapere di essere amici e di potersi fidare uno dell’altro. E poi… meglio essere ben visto da chi è in grado di svelare gli errori che tu potresti avere commesso.

In questo suo ultimo film dà molta importanza alle tonalità di colore.

Direi un po’ in tutti i miei lavori, ma qui forse si nota di più perché è preponderante l’azzurro che porta a pensare all’acqua anche quando questa non è presente. Ma bisogna utilizzare le potenzialità di tutti i colori: ad esempio il rosso fa pensare all’amore, il verde al futuro unito alla speranza.

Qual è il cocktail che vorrebbe ottenere?

Vorrei che il film fosse come una musica che ascolti quando guidi e che riesce a rimanere nella tua mente anche se, per alcuni momenti, non le dedichi attenzione. Immagini, luci, colori aiutano a realizzare questo mio sogno e cerco sempre di dare loro il giusto spazio.

Ha avuto molta importanza la scelta del cast?

Assolutamente fondamentale. La sceneggiatura è stata pensata direi quasi su ogni attore, scelto perché lo identificavo con l’idea che avevo del personaggio. Noti o meno noti, accomunati dal essere… quelli giusti che avevano piacere di lavorare assieme.

Nella fase realizzativa lascia spazio a un minimo di improvvisazione?

Assolutamente no, soprattutto all’interno di un progetto così complesso come questo. Ognuno dei responsabili di un settore, che sia musica o fotografia o scenografia o altro, ha una copia della sceneggiatura pensata specificatamente per lui, in cui preciso cosa desidero, dalla posizione delle macchine da presa a come la scenografia debba essere sistemata. Facendo così, il mio compito quando giriamo è solo quello di ottenere un buon risultato finale senza pensare a particolari tecnici che potrebbero farmi perdere la concentrazione.

Vi confrontate durante la lavorazione?

Certo, e direi spesso. Ma, ripeto, il vantaggio di essere il direttore è che, se ci sono visioni dissimili, io ho ragione. Comunque, lavoro sempre con collaboratori che conosco e mi conoscono molto bene: questo limita assolutamente la possibilità di avere scontri durante il percorso della nascita del film.

Cosa la fa arrabbiare di più?

Che mi dicano che i miei film non rispettino i canoni nordamericani: ma io sono fiero di questa diversità, difendo la mia identità di autore messicano. Noi abbiamo ancora la mentalità del risparmio, la voglia di utilizzare anche sistemi tradizionali per ottenere risultati visivi affascinanti. Il film è costato 19,3 milioni di dollari: lo avesse girato un cineasta statunitense, probabilmente ne sarebbero occorsi almeno 70.

Oltre alla paura, quale ritiene possa essere altro ingrediente indispensabile per ottenere buoni risultati?

Sicuramente la rabbia, rabbia che crea determinazione e permette di andare avanti anche di fronte a ostacoli che potrebbero sembrare insuperabili.  Questo lavoro non è fatto per chi voglia una vita tranquilla e rasserenante. Lo stress che viviamo è il carburante per tante idee vincenti.

Classica domanda di cui si conosce quasi sempre la risposta: è contento per gli Oscar?

Certo, e ancora di più che sia capitato per un film che ho amato e voluto intensamente. Poteva già essere arrivato per altri titoli ritenuti da critica e pubblico buoni. Ma averlo vinto a 53 anni ha più vantaggi che svantaggi. Lo avessi ottenuto prima probabilmente mi avrebbe condizionato e limitato in scelte artistiche, me lo avessero assegnato quando ero vecchio mi sarebbe sembrato più un omaggio ad una carriera che non il premio per un film realmente interessante. Detto questo… per un artista è sempre il momento giusto per vincere un Oscar…


di Furio Fossati
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