28. Festival del Cinema Africano, d’Asia e America Latina

L’edizione numero 28 a Milano del Festival ci porterà ancora una volta tantissimi racconti dai mondi di questi tre continenti.

L’edizione numero 28 (a Milano, dal 18 al 25 marzo, in vari luoghi, anche da scoprire,  della città) del Festival del Cinema Africano, d’Asia e America Latina ci porterà ancora una volta tantissimi racconti dai mondi di quei tre continenti (oltre 60 film, tra cui 25 film in prima nazionale, 2 prime europee e 3 prime mondiali). Al tempo stesso, si preannuncia fortemente caratterizzata dall’ispirazione originaria verso il continente africano – il suo cinema certo, ma più in generale la sua molteplice cultura –  costruendo attraverso un programma come sempre articolato e multidisciplinare, un ponte ideale tra la memoria e l’eredità del passato, il presente con le sue  contraddittorie tendenze in campo  sociale ed economico, gli scenari futuri, in particolare sul versante dello sviluppo tecnologico.

Da una parte dunque il Festival ricorda e omaggia uno dei  più grandi registi africani di tutti i tempi, Idrissa Ouédraogo, scomparso a 64 anni lo scorso 18 febbraio a Ouagadougou, capitale del suo Paese, il Burkina Faso, punto di riferimento del cinema continentale grazie anche al suo importante festival biennale (e senza dimenticare che tra pochi  mesi ricorre il ventennale della morte del senegalese Djibril Diop Mambéty genio multiforme che tanti linguaggi, oltre a quello del cinema,  aveva praticato). L’ omaggio a Ouédraogo  – presente al Festival milanese con i suoi film sin dalla prima edizione del 1991 e già protagonista di una retrospettiva nel 2007 –  prevede la proiezione in 35 mm di uno dei suoi capolavori, Samba Traoré (1993, che quell’anno vinse l’Orso d’argento a Berlino. Il COE-Centro Orientamento Educativo  che organizza il Festival ha distribuito in Italia quasi tutti i suo film, tra cui ricordiamo opere di grandissimo valore come Yaaba, Tilai, Le cri du coeur. E come quest’ultimo film, del 1994, anche il film scelto per l’apertura (domenica 18, in anteprima italiana, al Centro San Fedele) del Festival Une saison en France, del regista ciadiano Mahamat Saleh Haroun, ci parla quasi 25 anni dopo, di storie di immigrati e richiedenti asilo in terra francese e di quel senso di sdradicamento ed esclusione di cui soffrono tanto gli adulti quanto i loro figli, bambini o adolescenti (nel cast Eriq Ebouaney e Sandrine Bonnaire).

D’altro canto, il Festival continua a raccontare una nuova Africa, contemporanea, dove l’arrivo della rete internet ad alta velocità sta dando una forte spinta propulsiva all’economia contribuendo anche a vivacizzare la scena artistica e culturale. E’ di questo che si parlerà, lunedì 19 marzo (ore 18 allo Spazio Oberdan), nella tavola rotonda WWW! What a Wonderful World. Come le nuove tecnologie stanno cambiando l’Africa (in collaborazione con Fondazione EDU, a cura di Lorenzo Simoncelli), che presenterà a Milano (in collaborazione con “Meet The Media Guru”) tre case- histories di successo in ambito ITC, formazione e nuovi media da Nigeria, Etiopia e Costa d’Avorio.  A seguire l’anteprima nazionale del film Liyana di Aaron e Amanda Kopp, coproduzione tra Swaziland e Usa, animazione in 3D,  già premiata in diversi festival,  che applica le tecniche digitali più sofisticate a topos narrativi classici. Ma c’è anche un’Africa creativa e ironica, come quella che aveva saputo assai bene raccontare il fotografo  Daniele Tamagni, morto prematuramente lo scorso dicembre (sarà ricordato nel corso di un incontro il 25 marzo alle 19 al Festival Center) , che aveva scoperto il fenomeno dei “Sapeurs, i dandy dell’Africa nera”. I suoi scatti sulle subculture metropolitane del continente avevano fatto il giro del mondo ed erano stati in mostra alcuni anni fa anche al Festival milanese. La fotografia e il  design sono del resto linguaggi che il Festival esplora da tempo (negli ultimi anni anche in collaborazione con il Lagos Photo Festival). Tra le mostre in programma in questa edizione ricordiamo   AfricaAfrica, exploring the Now of African design and photography (a Palazzo Litta Cultura dal 15 marzo al 2 aprile 2018), una  personale della  fotografa ivoriana di fama internazionale  Joana Choumali, e la mostra del fotografo italiano Nicola Lo Calzo Tchamba, o la dialettica schiavo-padrone frutto dei suoi viaggi in Togo e Benin dove ha esplorato il complesso rito del Tchamba, una pratica vudù unica nel suo genere. Sempre a cavallo tra cinema e fotografia, tra  gli eventi speciali ricordiamo la proiezione fuori concorso (martedi 20 allo Spazio Oberdan ore 17, ingresso libero, in collaborazione con Naga) del sorprendente documentario di Andrea Segre Ibi (ne avevamo scritto in questo articolo), seguito dall’inaugurazione della mostra fotografica che, purtroppo dopo la sua morte prematura, dà conto del progetto di vita di Ibitocho Sehounbiatou, detta Ibi, una migrante irregolare che aveva cercato invano, anche attraverso la fotografia e il video,  un suo riscatto sociale anche  in nome e per conte degli oltre ventimila italo-africani che vivono tra Castelvolturno e Caserta.

Quanto al programma cinematografico, che  si articola nelle consuete sezioni competitive e non,  ricorderemo solo alcuni dei titoli più attesi. Nel concorso internazionale l’anteprima nazionale in collaborazione con Middle East Now di Firenze del nuovo sconvolgente documentario di Talal Derki, Of Fathers and Sons (premiato al Sundance 2018), in cui il regista siriano torna nel suo paese per documentare la quotidianità di una famiglia di combattenti di Al Qaida, uno sguardo inedito e inquietante sulla relazione padre – figlio e sull’educazione jihadista; o il film rivelazione della Quinzaine des réalisateurs di Cannes 2017, I Am not a Witch della regista zambiana Rungano Nyoni, interpretazione ironica e immaginifica del dramma dei bambini stregone;  l’opera prima dell’egiziano Fawzi Saleh, Poisonous Roses, girato nelle antiche concerie del Cairo, un luogo infernale dove un fratello e una sorella cercano di sopravvivere al degrado e alla miseria; mentre dall’America Latina (dove la scena cinematografica è sempre assai vivace, si prenda il caso del Cile recentemente premiato anche dall’Oscar a Una donna fantastica si Sebastian Lelio), citiamo Severina dove Felipe Hirsch racconta l’amore tormentato e misterioso tra un libraio melanconico e una ladra di libri in una vecchia libreria di Montevideo; o Azougue Nazareth , di Tiago Melo (Bright Future Award al Rotterdam Film Festival 2018) girato nella regione di Recife che racconta del conflitto tra i poeti sambador che si preparano per il carnevale e un pastore evangelista che vieta questa tradizione “demoniaca”.

Anche nella sezione Extr’A – concorso dedicato specificamente ai film di registi italiani che si a confrontano con le altre culture e che inevitabilmente toccano i temi scottanti dell’immigrazione nel nostro paese –  affiora  in molti casi il tema (oggi politicamente assai sensibile  e controverso anche sul piano strettamente politico ed elettorale) del “ritorno” dei migranti (a casa, nella patria d’origine). Tema inteso qua, ovviamente, come istanza di scoperta o riscoperta di una identità che spesso però, come accade in tutte le storie di immigrazione (delle quali noi italiani ci siamo oggi pressocchè dimenticati),  risulta dopo tanti anni di assenza irrimediabilmente lacerata.

Tra i film selezionati citiamo dunque Vita di Marzouk (in anteprima mondiale) di Ernesto Pagano (di cui qualche anno fa si era apprezzato Napolislam, storie di giovani partenopei  convertiti alla religione islamica)  sulla crisi di una coppia mista e il ritorno di Marzouk con i figli nel suo villaggio natale in Tunisia; o Talien (dal Torino Film Festival) di Elia Mouatamid che accompagna il padre, dopo quasi quarant’anni in Italia, in un viaggio di ritorno in Marocco,  un on the road movie che è l’occasione per un padre un figlio per capirsi e incontrarsi nuovamente; ma anche il cortometraggio Granma, co-diretto da Daniele Gaglianone e dal nigeriano Alfie Nze  (da  un soggetto originale di Gianni Amelio), che racconta la storia di Jonathan, un giovane musicista hip hop di Lagos che deve compiere un doloroso viaggio al suo villaggio per comunicare la morte del cugino nella traversata verso l’Europa.

Dalla sezione Flash che allinea i film-evento del Festival citiamo solo, anche per la notorietà dei loro autori due titoli (in anteprima italiana) diversissimi tra loro: Legend of the Demon Cat, il nuovo kolossal che spazia tra più generi usando anche la tecnologia firmato da Chen Kaige, grandissimo successo in Cina; e l’ultima opera del maestro del cinema cileno Raúl Ruiz (scomparso nel 2011), The Wandering Soap Opera, un film  lasciato inconcluso che la moglie Valeria Sarmiento ha ora portato a termine (era a Locarno 2017). Una riflessione allegorica sulla realtà cilena, vista come un collage di soap opera che trasforma i problemi politici ed economici in una gelatina di fiction ad  episodi seriali. Uno scenario, come sempre profetico, tracciato da quel geniale e prolifico regista, esule, migrante,  cittadino cileno e del mondo.


di Sergio Di Giorgi
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