Claudio G. Fava, un ricordo

A due giorni dalla scomparsa di Claudio G. Fava, riesce ancora difficile separare il tentativo di ritrarlo professionalmente e il peso della perdita dell’amico. Si sono già scritte così tante cose su Claudio G. che l’interessato sicuramente avrebbe di che imbastirci su un bel po’ di ironia. Come peraltro faceva ormai da qualche tempo, ma anche da molto tempo, come quando dichiarò, dopo aver organizzato la rassegna televisiva dell’amato Jean-Pierre Melville, che poteva anche morire.

Il personaggio aveva acquistato una grande popolarità televisiva, facendosi ammirare per la brillantezza dell’eloquio che scaturiva dalla confidenza con le cose di cui parlava, sostanzialmente tutto, ma in particolare il cinema. Quelli che amavano la settima arte – negli anni Settanta forse ancora di più di quelli che l’amano oggi – hanno trovato in lui una figura fino allora sconosciuta: i colleghi che presentavano i film infatti erano pochi e paludati sotto un aspetto un po’ intimidatorio e professorale, mentre gli iniziati – si cominciava appena a chiamarli cinefili – parlavano solo tra loro. Ecco dunque cosa riuscì a fare Fava: presentare cinema e film col tono tanto autorevole quanto confidenziale, con l’amichevole passione da condividere.

Ognuno ricorderà la “sua” propria rassegna prediletta, così come nel giro ligure, ma anche nazionale, molti avranno i loro personali riferimenti di cui essere persino un po’ gelosi. Uno per tutti, il ricordo di un sonnacchioso convegno (a Saint-Vincent?) improvvisamente rianimato al momento in cui qualcuno (Grazzini?) dalla porta d’ingresso esclamò “C’è Fava!”, e allora tutti rientrarono.

Come scrisse profeticamente nel 1985 Lorenzo Pellizzari a proposito del prolungamento della programmazione notturna della Rete Due (allora si chiamava così) con “Cinema di notte” curato da Fava “l’orario notturno induce lo spettatore a convertirsi in videoregistratore, con gli strumenti sia pur costosi che iniziano a diffondersi. Ed è merito di quei pionieri e della rete dei collezionisti se un patrimonio filmico ci è conservato”.

La centralità della figura di Fava sta anche nell’aver fatto parte della commissione ligure che all’arrivo della Terza Rete promosse l’ingresso in Rai di un altro genovese che sarebbe diventato il suo “concorrente” diretto in televisione, l’Enrico Ghezzi destinato a raccogliere l’eredità cinefila del nostro, seppur rivisitata in chiave, come dire, postmoderna.

In video e a Roma inizialmente forse non si trovò del tutto a suo agio: nella capitale, da lui definita una grande Frosinone, non ritrovava la sobrietà genovese; e del piccolo schermo – che pure cominciava, all’inizio degli anni Settanta, a dargli la prima popolarità – provava una sorta di amore-odio, constatando che tanto accurato lavoro precedente sulla carta stampata non gli aveva reso gli stessi onori.

Ciò che resta davvero di lui è qualcosa di oggi scontato, ma da non dimenticare. Se ormai tutti gli spettatori, non solo quelli professionali, parlano di registi come autori dei film, dei divi come co-autori, ecc. è anche per il modo in cui Claudio G. Fava seppe tanto lucidamente e amabilmente dirlo in televisione, con un senso drammaturgico e spettacolare tale da imprimere sempre un tocco d’autore, di quelli per tutti e non per pochi.


di Massimo Marchelli
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