Transcendence
Se vi piace il cinema di Christopher Nolan (suoi titoli di super culto quali Memento, The Prestige, Il cavaliere oscuro e soprattutto l’ormai mitico Inception), allora non perdetevi questo Transcendence perché a dirigerlo è Wally Pfister che di Nolan è stato il direttore della fotografia fin dai tempi degli esordi e che a tutt’oggi è considerato uno dei professionisti più innovativi e originali nel suo campo.
Nato e cresciuto a Chicago, dopo una lunga gavetta come cameraman nel mondo della TV, venticinque anni or sono Pfister fece il salto verso l’universo del grande schermo quando Rober Altman lo volle con sé a lavorare alla serie della HBO intitolata Tanner ‘88. Da allora la sua è stata una carriera a dir poco folgorante culminata appunto nel lungo e quanto mai fattivo sodalizio con Nolan che gli ha anche regalato un meritato Oscar per Inception.
Libero per la prima volta di dedicarsi interamente a una storia tutta sua da portare sullo schermo senza nemmeno la preoccupazione della direzione della fotografia (lasciata in parte a malincuore all’inglese Jess Hall, apprezzato per il suo lavoro in Ritorno a Brideshead), Pfister ha deciso di esordire nella regia con un film molto ambizioso che chiama in causa ancora una volta il complesso e spesso fatale rapporto tra uomo e macchina cibernetica. Tema questo che il cinema ha cominciato a trattare nei primi anni ’80 e che da allora è diventato una presenza tanto assidua nelle trame da costringere a creare un apposito sottogenere della fantascienza per contenere l’enorme numero di pellicole dedicate a questa delicata riflessione ai confini tra scienza del futuro e religione del passato.
Prodotto da Nolan stesso che ha avuto la capacità di raccogliere la bellezza di cento milioni di dollari di budget da mettere a disposizione dell’amico e compagno di scorribande creative (con soldi arrivati anche da investitori cinesi), Transcendence è stato scritto dall’esordiente Jack Paglen il quale si è in parte basato sull’opera e sulle teorie di Ray Kurzwail, scienziato e inventore americano che da anni lavora nel campo del rapporto tra essere umano e componente cibernetica e che ha divulgato il prodotto della propria ricerca in saggi divenuti popolari anche presso un pubblico di non addetti ai lavori (si vedano libri quali The Age of the Machines, The Singularity is Near e — particolarmente rilevante per il film — Trascend: Nine Steps to Living Well Forever).
Johnny Depp, finalmente in versione nature senza make-up da bucaniere o trucco spettrale da fantasma e parrucconi assortiti (come accadeva nel flop fallimentare di Lone Ranger), veste i panni di Will Caster, ricercatore americano che, pur vivendo come un eremita cistercense (niente tecnologia usa e getta e pochi rapporti con l’esterno), è all’avanguardia nel campo nelle ricerche sull’intelligenza artificiale e da tempo risulta impegnato nella progettazione e realizzazione di una macchina senziente in grado di combinare l’intelligenza collettiva di tutto ciò che è conosciuto con l’intera gamma delle sensazioni e dei sentimenti che un essere umano è potenzialmente in grado di provare.
Il suo sogno sarebbe appunto quello di trascendere — come suggerisce chiaramente il titolo del film — la propria natura umana spingendosi là dove la scienza è pronta a lanciare la propria sfida a Dio stesso entrando in rotta di collisione con la visione tradizionale della demiurgia celeste messa in crisi dalla sua variante terrestre. Ovvero dare vita a una creatura ibrida capace di sfidare il proprio creatore sostituendoglisi nella sua funzione di motore immobile dell’universo e creatore unico di ogni forma di vita sul pianeta per approdare a nuove frontiere della scienza che garantiscano all’essere umano di emanciparsi dalle malattie e dalla povertà.
Divenuto molto famoso a seguito di una serie di esperimenti in questo delicatissimo campo minato, Caster non può evitare di esser visto con grande sospetto da un gruppo di eco-terroristi contrari alla tecnologia e per questo pronti a tutto pur di fermarlo. Anche ad attentare alla sua stessa vita, cosa questa che dà involontariamente il “la” narrativo al grande salto verso (fino ad allora) inimmaginabili nuovi scenari di fusione tra umani e macchine.
Fatto oggetto di un attentato a base di radioattività al polonio, Caster rischierebbe di concludere anzitempo il suo rapporto con la Vita terrena se non fosse che la devota consorte nonché sua principale collaboratrice Evelyn e due fidi colleghi ricercatori lo aiutano a mettere in pratica il progetto di convertire se stesso nella prima applicazione pratica delle teorie inseguite per anni trasformandolo in un’unità cibernetica con sentimenti e sensazioni umane.
Mentre il suo corpo è biologicamente morto e non riciclabile, la sua mente eccezionale — sanissima e brillante come non mai dopo l’incidente — viene caricata su un mega computer permettendogli così di iniziare una nuova avventura in territori inesplorati dove nulla è prevedibile perché non ci sono precedenti scientifici cui fare riferimento ma solo scenari sconfinati su cui muoversi virtualmente alla conquista di obiettivi non pronosticabili.
Divenuto così una portentosa sintesi tra macchina e unità cibernetiche, Caster rimane però vittima di uno dei classici rischi che il cinema di fantascienza classico ha sempre indicato ogni qual volta ha trattato il tema sdrucciolevole di intelligenze superiori incapaci di controllare il proprio strapotere nel momento in cui l’ausilio cibernetico le converte in potenziali dominatori. E cioè l’effetto collaterale del sentirsi intoccabili soffrendo quindi di un inevitabile delirio di onnipotenza. Cosa che appunto accade anche al protagonista del film di Pfister, il quale ne rimane vittima convertendosi così in una minaccia per l’intera collettività.
Interpretato da un cast di primissimo piano (con accanto a un finalmente redivivo Johnny Depp una serie di soliti noti dei film di Nolan tra cui vi sono Rebecca Hall, Cillian Murphy, Morgan Freeman insieme alla new entry di Paul Bettany), questo esordio registico di Pfister — pur con qualche semplificazione e facilonerie scientifiche di troppo — dimostra come non sempre i giocattoloni tecnologici debbano per forza essere soltanto blockbuster con budget faraonici senza però alcun tipo di costrutto e contenuti sotto la scorza fracassona degli effetti speciali.
Che qui certo non mancano (strepitose le scene in cui si mostra che miracoli possa fare la nanotecnologia nella cura di affezioni oggi giorno letali) ma che risultano un semplice strumento per raccontare — con apprezzabile senso del chiaroscuro narrativo che permette di evitare il classico manicheismo USA nella divisione infantile tra buoni e cattivi — una vicenda che ha il coraggio di riflettere su un tema tanto affascinante e complesso ma anche sulle conseguenze pratiche che la cattiva gestione di tale fusione potrebbe eventualmente comportare qualora e quando fosse messa in pratica.
Ciò non ostante e con tutte le buone intenzioni del caso, il film finisce per dimostrarsi incapace di scegliere tra le varie piste narrativamente contraddittorie che dissemina lungo il suo percorso (Caster è il Male assoluto o un’ipostasi del Bene possibile?), non riuscendo così ad aggiungere molto alla riflessione sul possibile conflitto tra l’evoluzione della tecnologia informatica e la possibilità di asservirne le sconfinate potenzialità alla mente umana a fin di bene. Senza che in sala si possa evitare di rivolgere un pensiero ad infinite altre opere dedicate allo stesso tema (su tutte il pur irrisolto A.I. di Spielberg) e si rifletta su quanto fossero realmente rivoluzionarie se paragonate a questo Transcendence.
Trama
Vittima di un attentato mortale che gli risparmia però la mente, uno scienziato all’avanguardia nella ricerca sull’intelligenza artificiale viene «collega» a un computer convertendosi così nella migliore applicazione pratica di una vita di ricerche nel campo. Ma ben presto il delirio di onnipotenza derivato dalla sintesi tra macchina e cervello umano lo porta a diventare una minaccia per l’intera collettività.
di Redazione