Un giorno speciale

Francesca Comencini, dal suo pretenzioso ma non completamente riuscito debutto con Pianoforte vincitore del Premio “De Sica” per il miglior film d’esordio a Venezia 1985, è la più piccola delle quattro figlie di Luigi. A 23 anni l’opera prima seguita da pochi titoli tutti con pretese seriose.
A quattro anni dal discreto Lo spazio bianco torna alla regia con un film tratto dal romanzo d’esordio dell’attore Claudio Bigagli. Sarebbe meglio dire liberamente tratto perché la sceneggiatura cinematografica non segue pedissequamente quanto descritto nelle pagine del breve libro.

Alcune parti tagliate, l’aggiunta poco felice di un furto in negozio di lusso solo per fare una bravata, il finale che è particolarmente drammatico e movimentato secondo Bigagli più intimistico e scontato nelle immagini del film, i giovani che si conoscevano mentre per la Comencini si incontrano per la prima volta quella mattina.

A parte queste libertà peraltro assolutamente lecite, lo sviluppo narrativo non soddisfa più di tanto, con situazioni previste e prevedibili che, dopo una mezz’ora, iniziano a dare fastidio. I due ragazzi con mille aspettative per la vita da adulti iniziano male questa esperienza di vita poiché ambedue raccomandati, incapaci di accettare una vita più povera e banale accettando di saltare le tappe vendendo se stessi e i propri sogni. Il giovane deve tutto alla madre che ha sempre lavorato gratuitamente come sarta per le necessità di un sacerdote, la ragazza accetta come atto dovuto quanto le cronache ci prospettano come abitudine bene insita nel sottobosco politico e non solo in quello.

Gina dall’inizio è la vittima sacrificale, è l’agnello dato in pasto al lupo sperando di non essere da lui divorato, è timida ed impacciata ma pronta all’atto sessuale pur di abbandonare la vita povera in una zona molto popolare dopo che la famiglia ha dovuto lasciare Trastevere.

Sua madre le compera un vestito volgarmente elegante e caro, le offre le sue scarpe dorate con 15 centimetri di tacco, la riempie di monili, la costringe a curare in maniera perfetta il suo trucco per piacere al suo potenziale carnefice. La donna vede in questa situazione, grazie all’importante lontano parente ora eletto dal popolo alla Camera, solo la possibilità per la figlia e per loro di abbandonare una vita che non sopporta. Al mattino, accompagna la ragazza alla Mercedes che la viene a prendere non vicino a casa loro ma in una zona del quartiere più frequentata per fare invidia a tutti, non si crea problemi per quanto la figlia dovrà fare per piacere e per raggiungere quello che è più il suo sogno che non quello della figlia.

Marco non confessa di essere figlio di una donna delle pulizie che la sera lavorava anche come sarta, si inventa per lei che quest’ultima attività fosse la sua unica fonte di reddito. Offre alla ragazza un panino fatto da lei per il suo ‘piccolo’ al primo giorno di lavoro, è contento di non essere più un bamboccione ma, nello stesso tempo, rassicurato dalla presenza della madre attraverso questo cibo bene avvolto nella carta stagnola perché non perda nulla del suo valore sia di sapore che di affetto. Quando va con la ragazza al bowling lo fa per farsi vedere elegante, con macchina di lusso, per fare invidia alla donna alla cassa con un figlio che ambiva allo stesso lavoro, ma non accetta volentieri di dovere pagare per quello che per lui era sempre stato gratis ora che è un adulto con uno stipendio.

Il vestito troppo elegante per un giovane col viso da adolescente, un lavoro che lo costringe ad abbandonare il dolce far niente che gli permetteva di stare a letto fino a mezzogiorno, la certezza che una vita tutto sommato per lui piacevole è finita.
Il rapporto tra i due, su cui ruota tutta la storia, è di una prevedibilità imbarazzante e, a causa di una sceneggiatura che poco offre agli attori, diviene quasi un documentario freddo e noioso in cui manca emotività ed emozione.

Francesca Comencini dirige con diligenza ma senza la capacità di raccontare un rapporto se vogliamo semplice e banale. L’istintiva bravura dei due protagonisti evita un crollo totale. La debuttante Giulia Valentini ha viso, corpo, voce ed accento giusto per interpretare con credibilità la ragazza di periferia divenuta adulta troppo in fretta che si sente dentro ancora una bambina. Filippo Scicchitano dopo il suo bellissimo debutto in Scialla!  conferma di essere attore talentuoso da cui ci si possono attendere altre prove interessanti.

A questa prova va aggiunta la splendida fotografia di Luca Bigazzi che utilizza tutte le potenzialità del digitale donando immagini a tratti volutamente povere cromaticamente con altre rindondanti di colori, accompagnando nel loro percorso i due protagonisti attraverso una Roma vista attraverso la caotica vita di Trinità dei Monti sommersa di turisti preceduta e seguita da quelle che raccontano la povertà attorno a una città da molti non conosciuta o immaginata di cui normalmente si raccontano solo i fasti.

Stupisce un poco che un’opera così sia stata proposta in concorso alla Mostra di Venezia dove aveva ben poche possibilità di emergere se raffrontata alla qualità e alla caratteristiche di quasi tutte le altre proposte: probabilmente si poteva trovare di meglio.

TRAMA

Marco, al suo primo giorno di lavoro come autista dell’onorevole Balestra, deve andare a prendere Gina nella periferia romana aldilà del raccordo anulare. La bella diciannovenne, ancora studentessa, è attesa dall’uomo politico per un tangibile ringraziamento legato a una raccomandazione per lavorare in televisione. Il viaggio dura tutto il giorno, poiché per impegni di lavoro il potente parlamentare ritarda sempre più il momento del loro incontro. Così i due giovani iniziano a fraternizzare, ad essere complici, ad innamorarsi. Ma, alla fine, giunge il momento di tornare alla dura ed ineluttabile realtà.


di Redazione
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